Voi italiani del primo XXI secolo, poverelli, siete gente un po’ depressa.
Come se non bastassero tutti i problemi che vi affliggono dalla notte dei tempi, adesso c’è anche questa brutta crisaccia economica cattiva a rendervi difficile il presente, e molto, molto nebuloso il futuro.
Per fortuna, avete a disposizione tutta una serie di importanti supporti psicologici. Avete ministri, capi di stato, economisti e banchieri che vi tranquillizzano sul fatto che in fondo al tunnel, a guardar bene, si cominci a intravvedere un po’ di luce.
Addirittura le grandi istituzioni economiche internazionali, che di solito vi bastonano con gran gusto, ultimamente non mancano di sventolarvi davanti al naso la carotina, dicendo che la ripresa, se proprio non sarà l’anno prossimo, sarà il seguente, o al massimo quello dopo.
Come sapete, io vivo nel futuro.
Sfortunatamente, non mi è concesso farvi rivelazioni. La cronopolizia da queste parti scherza pochissimo, e l’ultima volta che mi hanno beccato mi hanno sequestrato l’iGloo e conciato come il cappone per la Vigilia.
Cionondimeno, posso comunque provare a darvi una mano.
Non posso leggere gli astri per voi, ma posso almeno risparmiarvi la fatica di leggervi il “Global Competitiveness Report 2012-2013” pubblicato dal World Economic Forum.
Sono cinquecentoquarantacinque pagine, con un sacco di numeri e neanche una figurina. Con lo spirito di abnegazione che da sempre mi contraddistingue, perciò, io me le sono sifonate per voi, e ora ve le sintetizzo. Per le conclusioni, sono certo che potete fare da soli.
(Qualcuno forse ricorderà che mi ero già lanciato in un’impresa simile con il “Travel & Tourism Competitiveness Report 2013“, in questo articolo. La cosa era stata gradita, per cui arieccomi qua.)
Il “Global Competitiveness Report” analizza la competitività di 144 paesi, il che in pratica significa tutti. Mancano all’appello San Marino, Monaco e Andorra, ma penso che a livello planetario ce ne si possa fare una ragione.
Ma che cos’è dunque questa famosa competitività?
In base alla definizione del World Economic Forum, è l’insieme delle istituzioni, delle politiche e dei fattori che determinano il livello di produttività di una nazione.
E la produttività è una cosa importante, perché definisce il livello di prosperità che può essere raggiunto da una nazione.
Il livello di produttività, inoltre, determina la rapidità con cui gli investimenti fatti da un paese rientrano e cominciano a dare frutti, e quindi in pratica indica il tasso di crescita a cui può tendere una nazione.
Quindi la competitività è importante perché un’economia più competitiva è un’economia che ha maggiori probabilità di sostenere la crescita.
Ora, sul fatto che la “crescita” sia una cosa bella a prescindere si potrebbe discutere a lungo. Generazioni di politici, imprenditori e cantastorie ci hanno ficcato in testa che crescere sia bello, giusto, furbo, e l’unico lasciapassare possibile per un futuro radioso.
Curiosamente, le cose stanno in modo abbastanza diverso.
In natura, le uniche cose che crescono indefinitamente sono i virus, le muffe, i tumori, e la rottura di scatole di chi segue le schermaglie della politica interna.
E tutti questi crescitori infaticabili (virus, tumori eccetera) finiscono inevitabilmente per morire nel momento in cui saturano il loro organismo ospite.
Crescere per crescere, insomma, non sembra affatto la chiave della felicità.
Ovviamente, non siete obbligati a credermi.
Se volete farvi un’idea da soli, potete dare una scorsa ai tre fondamentali saggi “I limiti dello sviluppo“, “Oltre i limiti dello sviluppo“, e “I nuovi limiti dello sviluppo” di Donella e Dennis Meadows, e Jorgen Randers. Sono un po’ i vangeli per questo tipo di argomenti, e se non avete tempo, potreste gradire la sintesi pirlografica che ne ho fatto io, qui e qui.
Tra l’altro, i titoli originali di quei tre testi sono in effetti “I limiti della crescita“, “Oltre i limiti della crescita“, e “I nuovi limiti della crescita“. “Crescita”, non “sviluppo”: non so se mi spiego. Eppure nella preparazione dell’edizione italiana, per qualche oscuro motivo, è stato commesso questo clamoroso errore di traduzione.
Ma non perdiamoci in dietrologie. Crescita o non crescita, la competitività resta comunque un indicatore interessante, in quanto sinonimo di vitalità, entusiasmo, convinzione, forza, reattività, e di numerose altre cose che lascio alla vostra fantasia esprimere a parole.
Andiamo quindi a vedere come il World Economic Forum classifica i vari paesi del mondo, e cerchiamo di capire se, come ci raccontano giornali e TV, noi italiani siamo davvero in odore di scudetto, o se piuttosto non ci stiamo disperatamente dibattendo in zona retrocessione.
NOTA IMPORTANTE: indipendentemente da come ho tradotto le varie definizioni (abbiate pietà di me), le classifiche sono strutturate in modo che nelle prime posizioni ci sono i paesi virtuosi, e in basso quelli messi male. Ad esempio, per la voce “Criminalità” essere al 1° posto significa essere un paese sicuro, mentre essere a fondo classifica significa essere sul set di Mad Max.
Detto questo, buona lettura.
Per proseguire, clicca più in basso sul numero di Pagina: 2 o 3.
Ribloggo immediatamente. GRazie per l’immane lavoro.
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Ma figurati, per me è un piacere! 🙂
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L’ha ribloggato su BarneyPanofskye ha commentato:
Tre paginate di analisi sul rapporto mondiale sulla competitivita’. Un sentito ringraziamento ad AfterFindus per il lavoro veramente eccellente svolto, e un invito a qualsiasi politico incappi in queste pagine: cazzo, non devi fare altro che leggere li’ e tirarti due schiaffi nel muso dopo esserti sputato in mano. Perche’ molta della colpa di questa situazione e’ TUA.
Barney
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Sacrosanto.
E aggiungerei: stesso trattamento per chi, nonostante tutto, continua a votarti.
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Aspettiamo il prossimo saggio:
Incompetentività applicata.
Sottotitolo: Come fare il peggio per tutti e ricavarne il meglio per sè stessi.
Un saluto dal blog “rimedio-evo”
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Oh, non serve un saggio. Basta un quotidiano qualsiasi.
Grandissimo Marco, ti seguo sempre su Rimedio-evo. In prosa o in poesia, sei sempre imperdibile!
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Se ti può interessare:
MENTI TRIBALI di Jonathan Haidt , Codice Edizioni.
(Insieme a “Le Scienze ” di Ottobre.)
Sottotitolo:Perchè le brave persone si dividono su politica e religione.
E’ un lenitivo contro la nausea da lettura di quotidiani.
Un saluto, Marco sclarandis
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Preziosissimo!
Lista di Natale aggiornata, TAC! Anzi, neanche lista di Natale: prossima tappa in edicola prenotata (tanto mi manca anche l’ultimo numero del Corriere dei Piccoli).
Grazie mille, poeta!
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Complimenti.
Ora lo stampo e lo rileggo.
Complimenti davvero.
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Grazie per i complimenti, Daniele! Purtroppo non ho scritto io la sceneggiatura, nè ho fatto la regia. Mi sono limitato a piazzare le luci… 😉
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Ecco, grazie. Adesso sì che sono depresso.
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Lo so, ti ho adescato con gli unicorni e le fate turchine, e invece hai trovato solo il Gutalax.
Cercherò di farmi perdonare. 😉
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