Predire il futuro non va più di moda. Nell’antichità chiaroveggenti, maghi, profeti e indovini rivestivano un ruolo di grande prestigio sociale. Oggi invece chi si cimenta nell’arte della precognizione (eccezion fatta per gli speaker del meteo) è universalmente considerato un fanfarone e un ciarlatano: fattucchiere, santoni televisivi, agenti di borsa. Evidentemente non si fanno più le sfere di cristallo di una volta.

Eppure fare previsioni non è un’attività folle. Lo facciamo tutti, e di continuo. Se metto una mano sul fuoco, posso prevedere con ragionevole certezza che mi ustionerò. Se organizzo un picnic, pioverà.
Ma queste sono previsioni ovvie. Proviamo qualcosa di più sottile.
Mettiamo che per qualche imperscrutabile motivo mi trovi a reggere in braccio una grossa incudine di ghisa. Non è il tipo di cose che faccio tutti i giorni, ma non si può mai dire. In ogni caso, non avendo i bicipiti di Schwarzenegger, ben presto mi stancherei, e l’incudine finirebbe per scivolarmi di mano. Con quali conseguenze? Facciamo delle previsioni.
Previsione 1. L’incudine cadrà per terra, frantumando una o più mattonelle del pavimento. Spingendomi oltre, posso prevedere anche una serie di discussioni in famiglia, e un conto salato del piastrellista.
Previsione 2. L’incudine cadrà per terra, rompendo le mattonelle (e fin qui, pazienza) ma anche e soprattutto svariati ossicini dei miei piedi. In questo caso, posso includere nella previsione anche una visita al pronto soccorso, e una quarantina di giorni di gesso.
(1)
Previsione 3. Proprio mentre sto lasciando andare l’incudine, irrompe nella stanza un branco di furetti azzannacalcagni che mi si buttano sulle caviglie. L’incudine, cadendo, colpirà le malefiche bestiole, preservando l’incolumità del pavimento e dei miei metatarsi.
Previsione 4. L’incudine non cadrà, ma si metterà a fluttuare a mezz’aria, per poi trasformarsi in una bellissima odalisca con in mano una pizza e un pacco da sei birre.
Ecco qua: ben quattro previsioni. Purtroppo, mi secca ammetterlo, i primi due scenari sono piuttosto probabili, mentre gli ultimi due, per quanto affascinanti, sono decisamente meno realistici. E quindi, anche con la migliore predisposizione d’animo immaginabile, non possiamo che catalogare i primi due futuri come “possibili”, e gli altri due come “impossibili”.
“Futuri possibili”, evidentemente, non significa “futuri perfettamente definiti”. Non posso dire con esattezza quante e quali mattonelle (o ossicini) si romperanno, e quanti giorni avrò di prognosi. Prevedere va bene, ma a grandi linee. Manicomi e ospizi dell’Esercito della Salvezza sono pieni di gente che era convinta di poter azzeccare il nome del cavallo che avrebbe vinto la prossima corsa, o del bond che avrebbe sbancato Wall Street.
Insomma, predire il futuro richiede una chiara comprensione della situazione di partenza, una ferrea padronanza delle leggi della logica, e il buon senso di evitare di spingersi troppo oltre.
Con questi concetti ben chiari in mente, nel lontano 1972 dell’Era Asciutta un gruppo di scienziati del prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston decise di intraprendere uno studio accurato di quello che avrebbe potuto capitare al nostro pianeta nell’arco dei successivi due secoli.
Allo scopo, si misero ad accumulare una mole impressionante di dati dei generi più vari, dai tassi di crescita della popolazione nelle diverse aree del mondo, ai volumi della produzione agricola e industriale, ai livelli di sfruttamento delle risorse naturali, e tantissimo altro.
Poi costruirono un modello previsionale al calcolatore, e lo battezzarono
World3. World3 non era uno di quei megacomputer saputelli di certa fantascienza (“Deviud, cosa cerchi di fare con quel cacciavite, Deviud?”
(2)), e quindi non aveva la pretesa di sparare a colpo sicuro una previsione netta e definita. World3 era semplicemente (beh, “semplicemente”…) un sofisticato algoritmo matematico capace di macinare tutti quei dati, metterli in fila, trovare le connessioni, e trarne le logiche conseguenze.
Per inciso, le prime due versioni del programma, World1 e World2, dovettero essere abbandonate perché difettose. La prima ipotizzava per la metà degli anni ’90 l’invasione della Terra da parte di una civiltà di enormi coniglioni rosa dotati di raggio della morte e di una marcata avversione per i pronomi dimostrativi.
La seconda versione, World2, ancora più bacata, prevedeva per la fine del millennio una ossessione generale da parte della popolazione mondiale per il gioco del calcio e i reality show.
I due software dovettero essere completamente riscritti, portando alla versione definitiva: World3, appunto.
E nel 1972, World3 parlò. E disse cose molto interessanti.
[La profezia di World3 continua
qui]
Nota 1: Stavo scordando: non cercate di ripetere l’esperimento a casa vostra. Questa è roba da professionisti. Torna su
Nota 2: L’avete riconosciuto? Era Hal “Giro giro tondo” 9000, da “2001 Odissea nello Spazio” di Stanley Kubrik e Arthur C. Clarke (1968). Torna su
Ispirato da “I nuovi limiti dello sviluppo”, di Donella e Dennis Meadows, e Jorgen Randers (2004).
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