EgoNomia, Mappamondo

Svelato il mistero: ecco chi gode quando in tanti, invece, piangono

Parlavamo qualche giorno fa di terremoti, tsunami e altre catastrofi, e in qualche modo siamo finiti a parlare di economia. Il giro è stato più o meno questo:

1. Quando si verificano eventi drammatici, c’è sempre qualcuno che se la fa sotto dalla contentezza. Primo articolo.

2. Esiste una scuola di pensiero che considera, seriamente, i soldi più importanti del benessere e della felicità delle persone. Secondo articolo.

Finalmente possiamo chiudere il cerchio (che è poi un triangolo) e mettere insieme Milton Friedman e i suoi terrificanti Chicago Boys alle (altre) catastrofi.


Una delle parti più interessanti delle dottrine friedmaniane, infatti, è quella nota come “economia dello shock”, o “capitalismo dei disastri”.

L’idea di base è semplice: è molto più facile dare il colpo di grazia ad un avversario ferito, confuso, spaventato e in stato di shock, piuttosto che allo stesso avversario in piena forma e pronto a reagire.

Ovvio, no? Il problema semmai è capire chi possa essere considerato “avversario” da degli economisti. Occhio, però: qui non stiamo parlando di economisti qualsiasi. Parliamo della Scuola di Chicago: inventori del neoliberismo, e ispiratori del movimento Neocon americano. Parliamo di un branco di yuppie incredibilmente avidi, ambiziosi e con un ego ipertrofico.

E per gente di questo calibro, “avversario” (o meglio, “nemico”) è chiunque si opponga al loro “diritto” divino di far soldi. Chiunque si metta in mente di mettere un qualche tipo di limite alla famosa mano invisibile. Chiunque osi opporsi alla deregulation selvaggia della finanza – perché la deregulation richiede per definizione (de-regulation) la rimozione di molte delle regole e delle istituzioni su cui si basano le democrazie. Il nemico, insomma, è chiunque rompa le balle con il sociale, il pubblico, e le politiche di supporto ai più deboli.

I nemici dichiarati dei Chicago Boys, quindi, non sono altro che i governi dei vari Stati, e le relative popolazioni.

 
Vi sembra un’esagerazione? Magari. Il concetto centrale del neoliberismo è tutto qui:

1. il denaro è un bene in sè stesso perché genera ricchezza;
2. il libero mercato è il sistema grazie a in cui il denaro viene profittevolmente generato e scambiato tra i più meritevoli;
3. la mano invisibile è la garanzia che tutto quello che succede sul mercato, come la seconda legge della termodinamica, giri per il verso giusto.

Chi si oppone a questo mirabile flusso di virtù è come uno che ti piscia nel serbatoio della Ferrari: un rozzo sabotatore. E, ça va sans dir, i sabotatori vanno eliminati.

Il problema è che eliminare un apparato statale o sottomettere un’intera popolazione non è una robetta tanto semplice, anche se si è preda al delirio di onnipotenza e si è convinti di essere gli unti del signore. Milton Uomofritto non era purtroppo svitato fino a questo punto, e dovette quindi elaborare una precisa strategia in tre stadi – come un missile:

Stadio 1: Attendere il verificarsi di una grande crisi o di un grande shock. Attendere preparandosi, perchè come dice il Vangelo, “non sapete né il giorno né l’ora“.

Visto però che attendere è un po’ una rottura di palle, come ben sapete se siete amici o innamorati di un/a ritardatario/a, lo Stadio 1 è migliorabile in

Stadio 1A: Se la grande crisi o il grande shock proprio non vogliono saperne di arrivare (dopotutto, prima o poi si crepa, vero Milton?), allora magari vale la pena contribuire a provocarli.

È a questo punto facile immaginare come nel corso degli anni lo Stadio 1A si sia potuto evolvere in:

Stadio 1A+: Provocare una crisi, casso! Cosa stai lì a perder tempo, bocia?

Vabbè, degli stadi 1A e 1A+ parleremo magari un’altra volta. Oggi restiamo sul semplice, e procediamo dallo Stadio 1 (attendere il verificarsi di una crisi) allo:

Stadio 2: Sfruttare le risorse dello Stato colpito in modo da ottenere un guadagno personale, approfittando del fatto che le vittime sono ancora troppo disorientate per rendersi conto di cosa stia succedendo e reagire. E a questo punto:

Stadio 3: Agire rapidamente in modo da rendere permanenti le riforme varate in stato di emergenza. E le riforme, fateci caso, sono sempre le stesse: privatizzazione, deregulation e tagli alla spesa sociale.

 

The Wall Street Show

Ma queste sono parole mie. Le parole esatte di Uomofritto furono: “Soltanto una crisi, reale o percepita, produce vero cambiamento. Quando quella crisi si verifica, le azioni intraprese dipendono dalle idee che circolano. Questa, io credo, è la nostra funzione principale: sviluppare alternative alle politiche esistenti, mantenerle in vita e disponibili finché il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile.” (Il corsivo è mio, la frase invece è tutta di Milton Friedman, nel già citato Capitalism and freedom, 1962.)

E non è finita: “Una nuova amministrazione dispone di un periodo di 6-9 mesi in cui realizzare i principali cambiamenti; se non si coglie l’opportunità di agire incisivamente in quel periodo, non si avrà un’altra occasione del genere”. Si tratta, per chi non lo avesse colto, di una elegante rivisitazione del teorema di Machiavelli per cui i danni vanno inflitti tutti assieme.

Fin qua, potrebbero essere le pippe mentali di un vecchio Paperone amorale, avido e spregiudicato. Il guaio è che Uomofritto e i suoi ragazzacci erano uomini d’azione.

Nel 1973, il Cile era piegato dagli effetti di una devastante crisi economica. A spezzarlo del tutto ci pensò il violento colpo di stato del generale Pinochet e il regime di terrore, torture e sparizioni che ne seguì. Incredulo di fronte a tanta fortuna, il buon Friedman prese l’aereo e si fiondò a Santiago, per offrirsi come consigliere personale del dittatore. Tra i suoi consigli (tutti documentati, ci sono fior di lettere), la trasformazione fulminea dell’economia mediante tagli fiscali, il libero scambio, la privatizzazione dei servizi pubblici, tagli alla spesa sociale e deregulation. Il simpatico Milton assicurò a Pinocchietto che la rapidità e la portata dei mutamenti economici avrebbero portato reazioni psicologiche nell’opinione pubblica tali da “facilitare l’adattamento”. Coniò per l’occasione l’espressione “trattamento shock”, o “shockterapia”, che da allora sono entrate a pieno diritto nel vocabolario dell’horror politico.

Nel 1976 il colpo di fortuna si ripetè: la giunta militare di Videla realizzò il tristemente noto golpe in Argentina, e instaurò un regime di terrore e orrore che le famiglie degli oltre 30mila desapacrecidos di quegli anni non poterono mai più dimenticare. Ancora, uno scenario ideale per l’imposizione di politiche ispirate alla Scuola di Chicago, che donò al regime i suoi uomini migliori per realizzare “riforme” che in condizioni normali non sarebbero mai state accettate.

Nel 1982, la guerra delle Falkland consentì alla Chicago Girl Margaret Thatcher di usare il suo famoso pugno di ferro contro dei poveri minatori in sciopero, e a lanciare la prima e più frenetica corsa alle privatizzazioni che una democrazia occidentale avesse fino ad allora mai sperimentato.

Nel 1989, lo shock del massacro di piazza Tienanmen e l’arresto di decine di migliaia di persone permisero agli ex-studenti chicaghesi di Friedman annidati nel partito comunista cinese di trasformare gran parte del Paese in una sterminata “zona di libera esportazione”, popolata da lavoratori troppo terrorizzati per rivendicare i loro diritti.

Nel 1993, in Russia, Boris Eltsin seguì i consigli dell’Economist e del Washington Post (e anche qui, carta canta), mandò i carri armati contro al Parlamento di Gorbaciov e fece incarcerare i leader dell’opposizione. Prima ancora che il mondo potesse capire cosa stava succedendo, lanciò le famose “privatizzazioni a prezzo di saldo” che originarono i famigerati oligarchi e la nuova “mafia russa”.

Nel 1999, l’attacco Nato a Belgrado creò le condizioni per fulminee privatizzazioni nella ex-Jugoslavia, un obiettivo che era già stato annunciato con impazienza fin da prima della guerra.

Ci sono moltri altri esempi del genere. Ma lo show più spettacolare andò in scena in occasione della guerra in Iraq. Ormai, dopo trent’anni di prove generali, l’orchestra eseguì lo spartito in maniera impeccabile.

È una storia lunga, ed è impossibile farne una sintesi. Chissà, forse ne parleremo ancora.

 
Ora, attenzione: non sto dicendo che tutte queste guerre furono scatenate appositamente per poter introdurre le riforme economiche liberiste. Non lo dico, ma non lo nego. Diciamo che voglio scavare ancora. Quello che è certo è che in tutte queste occasioni la macchina politico-economica fu straordinariamente pronta a sfruttare lo stato di shock e disorientamento collettivo delle popolazioni colpite, e le riforme più sfacciatamente antidemocratiche e favorevoli al ricco estabilishment neoliberista furono firmate prima ancora del diradarsi del fumo e degli incendi. E, guarda caso, ciascuno di questi eventi fu ampiamente preceduto dalla pubblicazione di saggi e articoli in cui si descriveva, con mirabile lungimiranza, l’esatta sequenza degli eventi che di lì a poco si sarebbero effettivamente realizzati. Curioso, eh?

E a questo punto torniamo alle catastrofi non provocate dall’uomo. Stesso schema, stessi risultati.

Nello Sri Lanka, all’indomani del tragico tsunami del 2004, un’efficiente cordata di investitori internazionali si attivò fulmineamente per sfruttare l’atmosfera di panico e consegnare l’intero litorale a imprenditori che vi costruirono grandi villaggi turistici, impendendo a centinaia di migliaia di pescatori di ricostruire le loro case.

A New Orleans, prima ancora che l’acqua si ritirasse dalle strade, il sistema scolastico pubblico venne rapidamente privatizzato.

A L’Aquila, non fu permesso ad alcun terremotato di accedere alla propria abitazione, anche se colpita in modo solo marginale dal sisma. Il centro storico venne isolato, la città transennata, e i varchi presidiati dall’esercito. Nessuno potè toccare una sola pietra del centro della città vecchia, per anni. Ma intorno alla città in quarantena sorsero a tempo di record nuove abitazioni e nuovi centri commerciali, costruiti da privati grazie a finanziamenti pubblici. Benedetta mano invisibile.

 
Vi avevo promesso: nessuna teoria del complotto. E infatti, come vedete, non c’è nessun complotto. C’è solo una semplice, arcinota, strategia economica.

Come ho detto, forse prima o poi scriverò qualcosa sulla guerra in Iraq, dove tutto questo toccò vette siderali. Per oggi, e per concludere, mi limito a ricordare che quella guerra fu battezzata per i mass media “Operazione Shock and Awe” (Shock e Sgomento). Il motivo della scelta del nome, a questo punto, dovrebbe essere chiaro. A scanso di equivoci, comunque, ce lo spiega con malcelato orgoglio un testo ufficiale:

“‘Shock e Sgomento’ sono azioni che generano paura, pericoli e distruzione incomprensibili per la popolazione, per elementi e settori specifici della società che pongono la minaccia, o per i leader. Anche la natura, sotto forma di tornado, uragani, terremoti, inondazioni, incendi incontrollati, carestie ed epidemie, può generare ‘Shock e Sgomento'”.

(Shock and Awe: Achieving Rapid Dominance, NDU Press Book, 1996).

 
Usare momenti di trauma collettivo per dedicarsi a misure radicali di ingegneria sociale ed economica. Sapere che i sopravissuti a un disastro pensano innanzitutto a salvare il salvabile, a riparare, a ricostruire, e a riaffermare il proprio legame con i luoghi in cui sono cresciuti. Fare tesoro di deliranti visioni bibliche di grandi inondazioni e piaghe devastanti, per poi poter sfruttare una tabula rasa da cui poter ripartire da zero. Disporre del potere divino di creazione ex-nihilo.

Per tutto questo, e per molto altro ancora, possiamo essere eternamente grati a Milton Uomo Fritto e ai suoi Chicago Boys.

 
Episodi e citazioni (escluso quanto relativo al terremoto nelle Marche) sono tratti da Naomi Klein, “Shock Economy”, 2007.

 

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