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Isola di Pasqua: la morale

La storia dell’isola di Pasqua: quarto e ultimo atto. Qui trovi il primo, il secondo, e il terzo.

 
Raccontavo questa storia l’altra sera intorno al falò, dopo una memorabile cena a base di polpette di neve e frittelle di brina offerta dalla moglie di Ted il Pinguino.
Al termine del racconto, ci fu un lungo silenzio.

 
“Bella storia”, disse 3-Checco, “Ma la morale?”

Mi prese alla sprovvista.  Non mi ero preparato un finale didattico.
“E’ solo una storia,” dissi.
“La storia di un popolo di sempliciotti alle cui spalle farsi quattro grasse risate,” disse mr. Suchmill, il teologo bolognese.

“Non direi,” intervenne Nemo (profeta in patria).  “Mi pare che ci sia assai poco da ridere.  Questa è una storia molto triste, che deve insegnarci qualcosa.  E’ la storia di un ecocidio, di un genocidio auto-inflitto, la storia dell’estinzione di un popolo.  Un suicidio di massa lento e inglorioso, perpetrato con una metodicità e una miopia che ci deve far riflettere.”

“Io ho già riflettuto,” intervenne Ted il Pinguino, “e se avessi potuto parlare ai futuri abitanti dell’isola di Pasqua appena sbarcati dalle loro canoe avrei cercato di fargli capire che “Noi” e l'”Ambiente” in cui viviamo non siamo due entità distinte.  Nè, tantomeno, in competizione.  E’ da idioti pensare che “Noi” siamo gli eletti, i predestinati, i padroni del mondo, mentre l'”Ambiente” è lì a nostro servizio, una risorsa docile e generosa, una specie di serbatoio inesauribile.  Il mondo è fatto di equilibri, e spezzarli con un comportamento irresponsabile è stupido e mortale.  Per tutti.  Allo stesso modo.”

“L’ambiente può fare a meno di noi, “disse in un sussurro la moglie di Ted.  “Lo ha fatto per centinaia di milioni di anni, ed è prontissimo a ricominciare.  Noi, invece, senza un ambiente in cui vivere, non possiamo che scomparire.  Senza onore, senza gloria, senza giustificazioni.  In modo lento, atroce, e vergognoso.”

“Giusto,” disse mr. Suchmill, “ma io non mi fermerei agli abitanti dell’isola di Pasqua.  La stessa cosa avrebbe dovuto esser chiara alla gente del XX-XXI secolo, quella che ci ha ridotto così.  Tutti quegli industriali ciechi e stronzi che hanno rovesciato tonnellate di rifiuti tossici nei corsi d’acqua e nel mare.  Quei maledetti cementificatori di foreste e zone umide.  Quei criminali che per generazioni hanno interrato rifiuti velenosi nelle falde e che hanno affondato navi cariche di fusti radioattivi a poche miglie da coste abitate (abitate da loro stessi, razza di deficienti).  E anche quegli imbecilli che hanno bruciato plastica e prodotti cancerogeni, disperdendo allegramente milioni di metri cubi di vapori tossici nell’aria.”

“Ossantapace,” lo interruppe 3-Checco, “Ragazzi!  Ma che vi prende?  Mi sembrate un gregge di educande.  Piantiamola con questi pistolotti moraleggianti.  Tutta quella gente (industriali, politici, criminali) sapeva benissimo quello che stava facendo.  E’ solo che non gliene fregava un beatissimo tubo!  Facendo quello che hanno fatto si sono arricchiti, e hanno vissuto una bella vita.  Forse non erano abbastanza intelligenti da capire fino in fondo le conseguenze di quello che stavano combinando, o forse pensavano che se non lo avessero fatto loro lo avrebbe fatto qualcun altro, e allora tanto valeva almeno riempirsi le tasche.  In ogni caso, Suchmill, avresti solo sprecato il tuo tempo cercando di spiegare.  Come si fa a spiegare una cosa ovvia?  Da dove cominci?   Vecchio mio, credi davvero che avresti potuto convincere qualcuno con un bel ragionamento filato?  E’ ridicolo.”

 
Isola di PasquaA quel punto intervenne mr. Suchlow, il socio (patico) di Suchmill:

“Io se avessi potuto parlare agli uomini del XXI secolo non mi sarei rivolto a mafiosi, politici e industriali.  Io me la sarei presa con tutti gli altri.
Quelli che hanno sempre saputo, e hanno subito in silenzio.
Quelli che hanno fatto finta di non vedere, distogliendo lo sguardo.
Quelli che hanno fatto finta di aspettare un Settimo Cavalleggeri che sarebbe arrivato da chissà dove a mettere tutto a posto, senza chiedere il loro disturbo.
Quelli che sono stati vittime volontarie, e passive, e forse anche collaborative.
Quelli che hanno assistito alla distruzione del mondo in cui vivevano, e in cui avrebbero dovuto vivere i loro figli, senza prendere posizione.
Quelli che non ci hanno nemmeno guadagnato qualcosa, ma ci hanno solamente rimesso.
Quelli che erano capaci di indignarsi per un editoriale tagliente, un’elezione poco chiara, un concetto offensivo, un rigore non concesso, una minestra scotta, un conto salato, e niente più.
Quelli che magari hanno buttato qualche rifiuto in mare, o su un sentiero di montagna, o in un bosco, perché tanto cosa vuoi mai che possa fare.
Quelli che hanno sgasato con i loro maledetti motori a combustione per far vedere quanto erano fighi, o che hanno tenuto il motore acceso solo per non rinunciare al condizionatore.
Quelli che hanno tirato lo sciacquone anche quando non serviva, che non hanno riciclato i rifiuti perchè è una seccatura, che hanno buttato sacchetti di plastica solo perchè avevano un buchino.
Quelli che non hanno saputo battersi a favore del ramo su cui erano seduti, e hanno lasciato che i soliti pochi deficienti ingordi glielo segassero via.
A tutti loro, dal profondo della nuova Era Glaciale, dedico una sonora pernacchia.  Di pietra.”

 
Wow.  Amarognolo, Suchlow.  Sentii di dover intervenire.  Non volevo che la serata degenerasse.

pukao“Amici, io non lo so se quella che vi ho raccontato è la storia di una tribù di grulli, o la prima avvisaglia del fatto che l’Homo Sapiens Sapiens forse alla fine tanto sapiens non è.  Forse è solo un terrificante racconto ecologista, o una parabola sull’importanza di saper guardare avanti, o un’antologia di burle del destino, o una prova del fatto che Dio è uno che ha un senso dell’umorismo piuttosto discutibile.

Io so solo che, prima o poi, i ghiacci liberereranno anche l’Oceania.  E, in mezzo a quell’immensità, affiorerà uno scoglio pieno di faccioni di pietra.  Che avranno una storia da raccontare, la storia di una fallimento spettacolare.  Che noi, e i nostri avi, non abbiamo capito.  E che abbiamo lasciato ripetere.  E non più su un’isoletta sperduta, ma su scala globale.

Affioreranno quei faccioni e, per secoli, rideranno di noi.”

 
Questo è quello che dissi.  Improvvisando, lo ammetto, un po’.  Perché, in effetti, fin da quando avevo scoperto la storia dell’isola di Pasqua, era fondamentalmente un altro il pensiero che mi assillava:

 
Starei da dio, con uno di quei Pukao.
 

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