“Niarb, allontanati da quell’affare.”
“Uriele, fatti i cazzi tuoi.”
“Niarb, ti ripeto: lascia andare quella tromba.”
“No che non la mollo. Sennò tu la metti via senza suonarla.”
“Cosa ci faccio con la mia tromba sono affari miei.”
“No, sono affari di tutti.”
“Senti Niarb, mi sto stufando. Leggiti la Bibbia: sono io, non tu, l’angelo incaricato di scatenare l’Apocalisse.”
“Allora soffia in questo cazzo di tromba e scatenala.”
“Niarb, senti… Oh guarda! Non sono Bruce Springsteen e Carol Alt quei due? Lei sembra in tanga.”
“Dove?…”
SBRANG!
Ahi!
Tonf.
(Dal diario dell’arcangelo Uriele)
Uffa, finalmente l’ho steso. Che rompiballe.
Vorrei tanto sapere da dove gli viene tutta questa rabbia.
Faccio così: riavvolgo il nastro degli ultimi mesi, e vediamo se salta fuori qualcosa.
…bbbzzzz…
Dicembre 2015, da qualche parte in val Gardena.
Scena: interno di un’ovovia.
All’improvviso, l’impianto si ferma. La cabina si mette a oscillare, sospesa nel vuoto.
Oltre al protagonista e a LAMDC (L’Altra Metà Del Cielo), nell’ovovia c’è un’altra coppia: ben vestiti, educati, apparente estrazione altoborghese, più verso i cinquanta che verso i quaranta.
Audio:
Lui: “Dài, stai serena, vedrai che tra un po’ riparte.”
“C’è anche vento.”
“Sì, ma ora passa.
“E se cadiamo?”
“Ma no che non cadiamo.”
“Mi pare che qui vicino tempo fa è caduta (sic) una cabina.”
“Non era una funivia?”
“Una funivia, sì, può essere. Che poi era stato un aereo.”
“Che ci aveva preso contro.”
“Già. Erano americani.”
“Eh, sè, americani. Saranno stati dei nostri.”
“Mah.”
“Poi come fa un aereo che è così grosso a infilarsi in queste valli.”
“Boh.”
Minchia, dice Uriele, e impallidisce.
Il Cermis è a meno di cento chilometri a sud, e la strage è stata nel febbraio del 1998, non nella preistoria.
Schiaccia il tasto “avanti veloce”
Maggio 2016, a pochi chilometri dall’aeroporto di Bologna. E dal Museo della Memoria.
Scena: in coda alla biglietteria di una multisala. Subito dietro a Niarb e a LAMDC, un’altra coppietta di cinquantenni, distinti, atletici, abbronzati, abbigliamento radical-chic, leggerissimo accento locale.
Lei: “Ah, soccia.”
“Non è un film su quell’aereo che cade?”
“Sì dev’essere una specie di ‘Airport’.”
“Ah, mo vè.”
Uriele si asciuga la fronte.
Sudore.
Ghiacciato.
Era il volo Bologna-Palermo del 27 giugno 1980, non l’Atene-Sparta del 440 avanti Cristo.
Spinge freneticamente l’”avanti veloce”, ma solo per un attimo.
E infatti torna ancora lì, stesso luogo, facce simili, forse una settimana dopo.
Non danno più “Ustica”, danno “Colonia”, presentato da pochissimo alla Biennale di Berlino e al festival di Cannes 2016 con il nome di “Colonia Dignidad”. Nuova coppia, fotocopia delle altre due. Questa volta con bambini.
Lei: “E’ un film sul Cile.”
“Il Cile?”
“Di Pinochet.”
“Pinocchiet? Ah ah ah…”
E’ solo una battuta, questa volta. Ma Uriele ha ugualmente la lingua secca, i battiti accelerati, gli occhi velati.
Senza una parola, si avvicina al corpo di Niarb, ancora steso sul pavimento.
Gli stacca con delicatezza le dita dalla tromba, e se la porta alla bocca.
Si riempie i polmoni, sta per soffiare.
In quell’istante però sullo schermo della TV passano le immagini della Festa della Repubblica.
Con ampia carrellata sulle facce ghignanti delle autorità, che commentano con la consueta avida malafede i propri programmi elettorali, i propri tweet e i propri avvisi di garanzia.
E allora Uriele si blocca. Allontana lentamente le labbra dalla tromba.
Popolo di stronzi, sussurra piano. Altro che tromba del giudizio.
Vi piacerebbe.
Mette via la tromba, scavalca il corpo esanime di Niarb.
Dà un’ultima occhiata alle facce in TV e scuote i riccioli biondi.
Tenetevi quelli.
E con un botto supersonico, sparisce in cielo.
Tienila sempre da parte quella tromba.
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Macchè, quel pirla se l’è portata via. Vatti a fidare degli angeli.
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Che tristezza. Un popolo senza memoria non merita niente.
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Un popolo senza memoria merita tante, tantissime nerbate.
Merita politici incapaci e corrotti, merita un territorio che gli si rivolta contro, merita un’economia feudale rivestita di paillettes.
Merita quello che la Storia, di norma, riserva a popoli come lui:
La decadenza, l’estinzione, e poi, finalmente, l’oblio.
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