La cinese digitale l’ho incontrata la settimana scorsa in aereo.
Che poi non sono mica sicuro che fosse davvero cinese. Magari era una di Cesano Boscone che ci ha dato dentro col botox, o una nana di Oslo che si era ingoiata un paio di limoni scambiandoli per babà. Ma a me sembrava cinese.
Era una donnina piccola, secca secca, coi piedi minuti e col naso perennemente schiacciato sull’ampio display di una macchina fotografica di ultimissima generazione.
L’ho incontrata sulla scaletta dell’aereo, anzi l’ho urtata. Siera fermata improvvisamente per fotografare il muso del velivolo. Un vecchio cesso di City Hopper che non avrebbe fotografato neanche sua madre.
Tre passi più in su, ha fotografato lo stewart che le indicava il posto a sedere, poi il corridoio, e poi il numero del poggiatesta di fronte a lei.
Visto che era un volo corto, ci hanno portato subito le bibite e i salatini. E lei li ha fotografati.
Poi ha fotografato il coppino della hostess che andava via, e il sacchetto portavomito.
Sette foto. In neanche un quarto d’ora.
Io ero nel sedile di dietro, e ho visto tutto.
E ho visto, soprattutto, quello che ha fatto dopo.
Dopo è andata a controllare. E’ andata a vedere se le sue foto erano piaciute a qualcuno, e se c’erano dei commenti. Perché la macchina fotografica iperfiga della cinese digitale era di quelle che appena fai una foto la sparano immediatamente su Facebook, con ora, minuto e secondo dello scatto, e naturalmente le coordinate geografiche.
E la cinese digitale era evidentemente ansiosissima, poverina, di raccogliere consensi dalla community dei suoi amici. Mi avranno letto? Mi avranno taggato? Mi avranno detto “Mi piace”, o comunque si dica in quel loro cavolo di lingua strascicata?
Perché lei, pover’anima, di messaggi ne ha lanciati. Guarda che bei salatini, guarda che bella hostess (cioè, di faccia è carina, voi le vedete solo la nuca ma fidatevi), guarda che bel sacchettino che ho, casomai mi venisse in mente di stracciare.
E allora a me, guardandola, si è sturata la valvola cosmologica.
Seduto lì, con un’arachide bloccata tra gli incisivi, ho visualizzato milioni di miliardi di flussi di dati perfettamente inutili che si avvitano nell’aria, e finiscono ordinatamente a ricomporsi negli spazi infiniti di un sistema virtuale meravigliosamente avanzato, per trasmettere potenzialmente a miliardi di individui il loro prezioso messaggio di nulla assoluto. Ma in altissima risoluzione.
Ho provato a immaginare la cinese digitale di fronte alla Pietà Rondanini, al David di Piazza della Signoria, davanti al Golfo di Positano, sulla cima del Monte Bianco, sulla spiaggia rosa di Budelli. Clic, clic, clic.
E poi davanti al menù di una pizzeria, nella sala d’attesa del capolinea delle corriere, nel cesso di un’ipercoop: clic, clic, clic, uguale.
Cacchio, quanti clic hai fatto in questa vacanza? Quanti terabyte hai condiviso, e con quanta gente? E non è che per caso anche loro stavano facendo la stessa cosa? Giravano il mondo immortalando, virtualizzando, condividendo?
E ora, cosa farete, tutti quanti? Le foto di chi di voi guarderete per prime? E come distinguerete i grandi momenti dalle boiate, e dalle ore di noia? Come separerete i capolavori dalle minchiate?
E, soprattutto, di quante altre vite avrete bisogno per provare a dare un senso a questa qua?
(Fare una foto è un attimo. Scrivere un commento, anche a banana, ci vuole di più. Per perder tempo a taggare, poi, bisogna essere malati. O in galera.)
Ho guardato per un pezzo il coppino della cinese digitale. E le sue dita mica tanto giovani che armeggiavano con il display. Touch. Oh yeah.
E mentre la valvola cosmologica, lentamente, mi si richiudeva, ho pensato che se in quel momento, proprio lì, fosse venuta a sedersi di fianco a me una medusa proteiforme multilimbica del pianeta Orione, forse ci avrei trovato più cose in comune. Forse sarei perfino riuscito a parlarci.
Con la cinese, impossibile. Non ho abbastanza pixel.
Nel frattempo l’aereo è atterrato. Mi sono alzato, ho preso la mia clava, la mia pelle di mammuth e il mio cesto di ossidiane, e sono sceso senza neanche guardarla.
Il dinosauro mi aspettava nel parcheggio.
Sul display del mio NOKIA possono comparire 2 alla 65536esima immagini differenti, inrigoroso bianco e nero.
Circa 10 alla 21.000.
Cent’anni di vita sono circa tre miliardi di momenti, altrimenti chiamati secondi dai fisici.
Questi due soli numeri, tre miliardi, e 10 alla 21.000 e la loro quasi inimmaginabile sproporzione, mi portano a preferire l’immortalamento di non più di qualche dozzina d’immagini all’anno.Immortalarne di più sarebbe solo togliere tempo a questa vita già abbastanza sfuggente.
Marco Sclarandis
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A meno che uno non abiti nella villa di Hugh Hefner (o in Polinesia), tendo a essere assolutamente d’accordo. 😉
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Per gli asiatici, il concetto di “vita breve” non esiste. Loro contano sulla reincarnazione.
Con un po’ di fortuna, la cinese si reincarna in una macchina fotografica.
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Con parecchia fortuna, invece, si reincarna nel pulsante “Mi piace”, così almeno qualcuno ogni tanto se la clicca.
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Richiudi la tua valvola cosmologica e stai tranquillo che non appena mi avranno sostituito il modem clicchero’ “mi piace” a questo divertentissimo post.
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Faccio sempre più fatica a tenerla chiusa.
Mi sa che con l’età si sono rovinate le guarnizioni…
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