Italia bella

Pinocchio, la Fatina, e la Svezia birichina

Dicono che lo sport, e il calcio in particolare, sia lo specchio dei popoli.
Personalmente, ho sempre considerato questo sillogismo una vaccata siderale.

Eppure, l’altra sera, dopo l’ingloriosa partita con la Svezia, per la prima volta mi è albeggiato nel cervello che forse, dopotutto, è proprio così.
Lo spettacolo del dopo-partita me ne ha dato una conferma.
Anzi, DUE conferme.
Perché una sola avrebbe potuto essere un caso.


La Fatina buona vide che il Grillo piangeva disperato.
(La Fatina non era buona sul piano etico, era bona proprio. Ed era probabilmente per questo che lavorava in TV.)

“Signor Grillo,” disse “perché è così disperato?”
“Ma come, signorina, non ha visto la partita? L’Italia ha fallito la qualificazione ai Mondiali.”
“Ho visto, signor Grillo. Ma secondo lei, perché è successo?”
Sono un branco di pippe,” disse una voce da dietro le quinte.
“Zitto Pinocchio,” si stizzì la Fatina. “Non è ancora il suo momento. Aspetti là dietro e stia buono.”

Il Grillo Parlante estrasse di tasca un grosso fazzoletto, si soffiò il naso e si asciugò le lacrime. Tra un singhiozzo e l’altro, ritrovò poco a poco la calma necessaria per rispondere alla Fatina.
“Non è una questione di gioco,” disse poi.
“Ah no?” rispose la showgirl, “Lei non crede che il 3-5-2 con cui sono scesi in campo gli Azzurri avrebbe dovuto esser sostituito nel secondo tempo da un più deciso 4-4-2? Per poi intensificare con un 5-3-2 a metà della ripresa e un 6-4-0 intorno al trentacinquesimo? E magari giocarsela con un 10-0-0 nei supplementari? Non dimentichiamo, poi, che non ci hanno dato due rigori.”
“Non abbiamo perso la partita in campo,” ripeté il Grillo.
“Ah, no?” ripetè l’intervistatrice.
“No,” disse l’esperto.

“La crisi del calcio italiano ha radici molto più profonde,” disse il Grillo. “Parte dai vivai, dai settori giovanili, e passa per i meccanismi di finanziamento delle federazioni, i rapporti tra gli organi di tesseramento, le logiche di nomina dei funzionari federali, le politiche di distribuzione degli investimenti strutturali, e la cooptazione di risorse destinate a voci di spesa diverse.”

Proseguì su questa strada per un’altra decina di minuti, il Grillo, con il piglio di un top manager, la precisione di un top gun, il distacco di un medico legale, e la visione a trecentosessanta gradi di un esperto di geopolitica internazionale.
La Fatina si fissò costernata le tette.

“E quindi?” disse infine, quando non ce la faceva proprio più.
“Sono questi i problemi,” concluse il Grillo. “Qualsiasi giornalista sportivo glielo può confermare. La crisi del calcio italiano è una crisi sistemica. I valori in campo contano ben poco.”

 
A questo punto uscì dalle quinte Pinocchio, con ampie falcate e sorrisi da rockstar in direzione del pubblico.
“Buona sera, buona sera a tutti.”
“Pinocchio! Ma… Io… Non l’avevo ancora…” incespicò la Fatina, arrossendo per la rabbia.
Ma Pinocchio, imperturbabile, andò a sedersi tra i due. Strinse la mano al Grillo, e baciò la mano alla Fatina, soffermandosi per un tempo leggermente superiore al necessario con il naso puntato a meno di un millimetro dal suo generoso decolleté.

“Si parlava di calcio, mi sembra,” disse poi Pinocchio.
“Proprio così,” disse la Fatina, ancora rossa in volto, ma non più per la rabbia.
“E avete concluso che la figuraccia di San Siro sia stata l’apice di una serie di problemi strutturali che, se ho capito bene, risalgono addirittura all’ultimo Mondiale vinto, oltre dieci anni fa.”
“Esatto, esatto,” disse il Grillo.
“Beh, avrete senz’altro ragione voi,” disse Pinocchio. “Io non conosco molto bene il mondo dello sport, e pensavo di aver semplicemente visto una partita imbarazzante.

Una partita che, forse, un colpettino di fortuna avrebbe potuto ribaltare. Un rimbalzo malandrino, una tibia fuori posto qui, una buca di talpa in mezzo al prato là, e magari ci sarebbe scappato il gol.
E allora oggi saremmo qui a celebrare un trionfo, e a parlare di eroi.”

“E invece siamo qui a parlare di una catastrofe,” disse la Fatina, roteando gli occhioni.
“Una catastrofe,” disse Pinocchio. Che si alzò e si diresse alla lavagna.

 
Intermezzo a sorpresa n.1 – La dimostrazione di Pinocchio:
“Italia = Paese delle False Emergenze”

 
“Ci ha colpito una catastrofe, l’apocalisse,” disse Pinocchio, “Nientemeno.
E oggi voi esperti siete qui a spiegarci nel dettaglio il perché e il percome.
Voi lo sapevate, vero? Sapevate già tutto.
Analisi come quelle che sentiamo in queste ore non si improvvisano nel tempo di una doccia.
Tutta questa inefficienza di cui parlate, questa inadeguatezza, questo malaffare, erano perfettamente noti agli addetti ai lavori da mesi, da anni.
Ma, naturalmente, non si è fatto niente.
E perché mai si sarebbe dovuto? Dopotutto, con un paio di gol sarebbe andato tutto a posto. Non vorrete mica dire che non saremmo riusciti a cavarcela in qualche modo, all’ultimo minuto, come sempre? Figuriamoci. Eresia!

 
Ma proprio questa, ladies and gentlemen, è la straordinaria, inimitabile, inconfondibile, i-ne-spli-ca-bile Italian Way (maestro: due note dell’Inno, per favore).

Mettiamo infatti per un secondo da parte il calcio.

 
In questo bel Paese è sempre piovuto, da quattro miliardi e mezzo di anni a questa parte.
Ma oggi, se piove per mezza giornata, di colpo tracimano fiumi, esplodono fognature, crollano terrapieni.

In questo bel Paese ci sono tante zone notoriamente a rischio sismico.
Ma oggi, se la terra si mette a tremare, anche solo per pochi secondi, e con scosse ai minimi della scala, interi paesi si disintegrano come castelli di sabbia in una centrifuga.

In questo bel Paese, per non farla tanto lunga, ogni giorno si stacca un pezzo dei mosaici di Pompei, viene prescritta una sentenza, affonda un barcone di immigrati, viene sciolto un consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, viene ammazzata una donna dall’ex-amante geloso, e qualche operaio perde la vita in un cantiere fuori norma.
E in inverno ci si sorprende per il freddo, e in estate per il caldo.

Tutte tragedie. Catastrofi. Emergenze.
Tutte, inesorabilmente: note, prevedibili e annunciate.

E’ così, signori e signore. Chiamiamo “emergenze” tutte quelle cose che non abbiamo avuto voglia di mettere a posto prima.

Pulire un argine, costruire un contrafforte, fare un’ispezione, mettersi un maglione.
Roba semplice, roba che non serve Einstein o Chuck Norris.
Sapevamo che il calcio italiano è messo a pecorina, ma ci siamo assiepati davanti alla TV sperando in un miracolo.

Perché siamo fatti così. O miracolo, o disastro.
E se è miracolo ci autoincensiamo, se è disastro pontifichiamo.”

 
Il pubblico taceva, imbarazzato. Il Grillo era pietrificato. Assomigliava ad Andreotti, quella volta che andò in trance in diretta TV.

La Fatina si scosse per prima. Scrollò le tette, si issò sulle turbocosce, e si piantò i pugnetti sui fianchi:

“Pinocchio, lei è un gran birbaccione,” zufolò. “Non vorrà mica venirci a dire che dalla partita di ieri lei ha tratto soltanto una noiosa lezione sul vittimismo e l’immobilismo italico?”

“No,” disse Pinocchio, “In effetti non solo. Ce n’è anche un’altra.”

 
Intermezzo a sorpresa n.2 – La dimostrazione di Pinocchio:
“Italia = Paese di sudditi, vigliacchi e voltafaccia”

 
“In effetti, c’è un’altra cosa che mi ha colpito, ieri sera.

A fine partita, quella penosissima conferenza stampa.
Il Commissario Tecnico come un fagiano inchiodato a un’asse, sotto il fuoco di fila serrato delle domande dei giornalisti.

Tutto normale, per carità. Il mister si è preso un sacco di soldi per il disturbo, e oggettivamente ha fallito. Un po’ di telegogna è il minimo sindacale.
Però, c’è stato un momento preciso in cui il Dio del Buon Gusto, se solo esistesse, avrebbe dovuto scatenare i fulmini dell’Armageddon.

Ed è stato quando un giornalistucolo miserabile e scellerato ha domandato con vocetta melliflua:
Non crede di dover chiedere scusa agli italiani?

Ora, io ho la testa di legno e la reputazione di cacciar balle,” proseguì Pinocchio “ma per quanto mi sforzi non mi ricordo di nessun giornalista che abbia mai avuto le palle per porre davanti alle telecamere la stessa domanda a (vado a caso):

  1. Amministratori pubblici che si sono lasciati corrompere
  2. Politici che hanno usato la loro posizione per trarre benefici personali
  3. Uomini di Stato che hanno fatto i loro interessi e si sono arricchiti con i soldi dei cittadini
  4. Top manager che hanno distrutto posti di lavoro, premiandosi con superbonus
  5. Banchieri che hanno messo sul lastrico intere famiglie, premiandosi anche loro
  6. Servitori dello Stato che hanno mentito, rubato e depistato in nome di una loggia, di una famiglia, o di Santa Banconota
  7. Docenti universitari, medici, imprenditori e professionisti che hanno concionato sulla meritocrazia, e poi hanno piazzato coniugi, figli e amanti in tutti i posti chiave su cui sono riusciti a mettere le grinfie

(e mi fermo al punto sette, perché da Biancaneve in poi, è un numero che funziona)

Io queste cose non le ho mai viste.
Ho invece visto, proprio l’altra sera, il rabbioso infierire di un branco rancoroso nei confronti di un uomo sconfitto.
Uno già a terra.
Uno, tra l’altro, colpevole soltanto di non avercela fatta.
Non un ladro, un assassino, uno stupratore. Semplicemente, uno che ha tentato un’impresa, ed ha fallito.
Un semplice attore dell’eterna commedia umana.

 
Per cui, cara la mia bella Fatona (a proposito, se dopo il tracollo con la Svezia stai pensando a mollare il tuo centravanti, sappi che sono single – e ben scolpito) ecco cosa ho imparato l’altra sera.

Ho imparato che questa sconfitta sportiva ha uno straordinario valore filologico, culturale, scientifico, e antropologico.
Perché questa non è l’eliminazione da un torneo: è la consacrazione di un metodo.

Un metodo che prescrive di stare fermi, aspettare le tragedie, evitare accuratamente di fare qualsiasi cosa per prevenirle, e poi criticare pomposamente con le mani intrecciate dietro alla schiena una volta che si sono verificate.

Un metodo che prescrive di scagliarsi senza pietà, come avvoltoi, su chi rimane a terra.
Un metodo che prescrive di leccare i piedi, fino a quando non arriva il momento di azzannare.
Un metodo che eleva il “chiagne e fotte” a forma d’arte.

 
E a queste condizioni, cara Fata, caro Grillo e tutti quanti, l’anno prossimo in Russia è molto meglio che non ci andiamo.
Perché là, fin dagli anni Cinquanta, i cani li chiudono in un razzo,
accendono la miccia,
e li sparano nello spazio.


 

Discussione

2 pensieri su “Pinocchio, la Fatina, e la Svezia birichina

  1. Concordo. Bella l’immagine favolistica dei 7 nani di Biancaneve, legata ad altrettanti guai che affliggono la nostra società attuale. Ci si potrebbe riferire anche alla storia di Alì Babà, coi suoi 40 ladroni: ci sarebbe più spazio per le tue denunce!

    Piace a 1 persona

    Pubblicato da elioprestopino | 24 novembre 2017, 11:20 am

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