Italia bella

Mettere la freccia (senza essere indiani)

In un precedente ice-mail ho accennato alle cause che portano una civiltà al declino.  Nell’eccellente “Collasso”, pubblicato nei primi anni del XXI secolo, lo studioso Jared Diamond raggruppa in sole cinque categorie tutti i fattori che hanno provocato l’estinzione un numero impressionante di civiltà del passato.

Quello che viene spontaneo domandarsi, però, è: va bene capire le cause della scomparsa, ma è possibile accorgersene in tempo?

A parte le estinzioni di massa dovute a fenomeni naturali improvvisi e imprevedibili (eruzioni vulcaniche, tsunami, impatto di meteoriti, rigore non concesso ai supplementari) è possibile rendersi conto di essere in una fase di declino, ed eventualmente correggere la rotta?

 
Per nostra fortuna, la risposta è “sì”: è effettivamente possibile accorgersene, ma è di fondamentale importanza sapersi concentrare sui segnali deboli.

E’ inutile perdere tempo con i grandi indicatori: il prodotto interno lordo, la curva demografica, il reddito pro capite, le emissioni di gas serra, i tassi di produttività.  Questi indici, lo sappiamo, hanno allegramente condotto al disastro più di una civiltà.  I grandi numeri sono ciechi e possono significare tutto e il suo esatto contrario.  Quello che conta sono i piccoli scricchiolii dello scafo, le crepe microscopiche nelle pareti, le vibrazioni impercettibili che avvertono dell’imminenza del disastro.

 
L’equipe del professor P. Pallino, del Centro Ricerche Tropicali di Cervinia, ha dedicato diversi anni nel mettere a punto un modello matematico per rilevare i segnali di estinzione nascosti nelle più semplici attività quotidiane.  Dopo aver inserito nel supercomputer dell’Università milioni e milioni di informazioni relative agli ultimi anni che hanno preceduto il Periodo Buio, sono emersi limpidi come ghiaccioli i primi risultati.

Dei tanti comportamenti intrinsecamente suicidi della specie italica del primo XXI secolo, ce n’è uno che è risultato particolarmente lampante ed emblematico: non mettere la freccia in autostrada.

Mi rendo conto che questa frase possa risultare piuttosto oscura per la maggior parte dei contemporanei, e per eventuali approfondimenti rimando a testi più specialistici.  In questa sede basti ricordare che “mettere la freccia” era un atto di segnalazione fra i conducenti dei veicoli a motore.  Essendo questi veicoli particolarmente veloci, pesanti e (incredibile!) privi di qualsiasi sistema automatico di sicurezza, la “freccia” era un gesto dovuto con cui un conducente in procinto di mutare la propria direzione di marcia poteva avvertire gli altri veicoli nelle vicinanze delle sue intenzioni.

 
Oltre che un provvedimento di sicurezza e un atto di cortesia, mettere la freccia era quindi:

  • Obbligatorio per legge
  • Fondamentale per evitare la propria morte, o il proprio ferimento
  • Fondamentale per evitare la morte o il ferimento di terzi, leggasi “innocenti”
  • Perfettamente gratuito
  • Semplice, realmente alla portata di tutti
  • Assolutamente privo di qualsiasi rischio, fisico o psicologico
  • Privo anche di qualsiasi necessità di sforzo fisico.

 
Per mettere la freccia, infatti, non era necessario fare grandi sforzi. Anzi, non era richiesto neppure muovere una mano: era sufficiente infatti toccare con una falangetta una sottile leva di plastica, leggera come una farfalla anoressica.  La letteratura scientifica non riporta di alcun essere pluricellulare che abbia mai versato una sola goccia di sudore per lo sforzo di dover mettere la freccia.

 
Uno sforzo pari a zero, in cambio della prospettiva di finire su una sedia a rotelle, o sotto due metri di terra.  Parrebbe una questione risolta già in partenza.

Eppure, nell’Italia dei primi Anni Bui, tutto questo avveniva sempre più di rado.  Ecco perchè dalle indagini del professor P. Pallino questo semplice gesto è emerso come così rivelatore.  Quando all’interno di una società non si riesce nemmeno a fare un piccolo sforzo per comunicare, o per salvarsi la pelle, significa che è finita.

Non c’è più coesione sociale, le cellule dell’organismo civile sono ormai disinteressate le une alle altre.  Persino a sè stesse.

Non c’è coscienza dei più elementri rapporti di causa ed effetto, non c’è capacità (né volontà) di prevedere i prossimi dieci secondi, non c’è timore di un sistema giuridico che ti punisca, non c’è nemmeno la prospettiva di conservare la propria integrità: c’è solo il senso profondo che tanto sta tutto per andare a pezzi, che solo noi, come singoli, contiamo qualcosa, e perciò che senso ha “darsi da fare”?

 
Nelle miniere di un paio di secoli prima, uno dei principali pericoli era costituito dai gas velenosi.  Per rilevarne la presenza ed evitare di finire intossicati, i minatori si portavano dietro dei canarini.  Il sistema cardiocircolatorio di un canarino, piccolo piccolo, è ovviamente più sensibile di quello umano a concentrazioni di gas anche molto basse.  Per cui  se l’uccellino crollava improvvisamente stecchito sul fondo della gabbia, i minatori coglievano il messaggio e cambiavano galleria.

 
I telegiornali del XXI secolo raccontano che ogni tanto gli uccelli decidessero di schiantarsi al suolo spontaneamente.
Come segnale di pericolo, di sfascio imminente, quindi, probabilmente si decise di adottare la freccia.

Naturalmente, spenta.

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