Mappamondo

Ma insomma, ha ancora senso rinunciare alle Nike?

L’altra sera, durante un’inconsueta sessione infrasettimanale di allenamento, tutto d’un tratto ho sentito freddo a un piede.

Freddo a un piede. Un segnale inequivocabile.
Ben noto a chi, come me, le scarpe le sfrutta fino al limite fisico della tenuta strutturale della gomma.
Freddo = crepa.
Quella grossa. Quella senza ritorno. The big one.
Il colpo apoplettico della calzatura polimerica che ha passato il decennio.

nike anca mi
E infatti, come mi sono seduto e ho afferrato la parte posteriore della scarpa per sfilarmela, tacco e tallone sono venuti via lisci come l’olio. La punta invece è rimasta saldamente aggrappata intorno alle dita del piede.
Allora ho provato a togliermi l’altra, e anche lei trac, tranciata in due come una noce di cocco.

Ci sono rimasto male. A quelle scarpe ero affezionato.
Compagne di innumerevoli momenti, nessuno dei quali, oltretutto, lavorativo.
E soprattutto erano gli ultimi due superstiti di una imponente partita di calzature tarocche figlie di un’epica trattativa nella medina di Hammamet, tanto, tantissimo tempo fa.

(Talmente tanto tempo fa, per dire, che a quei tempi con “primavera araba” si intendeva semplicemente la stagione che separa l’inverno arabo dall’estate araba. Pensa un po’.)
E così, dopo appunto tantissimo tempo, sono tornato a visitare un negozio di articoli sportivi.
Che poi. Un negozio.

Meglio dire un gigantesco Louvre della deambulazione ammortizzata.
Muri, scaffali, puff e tavolini pieni di scarpe di ogni prezzo, foggia e colore. Tutte lì a dirmi: “Dài pirla, prendi noi, che le tue vecchie ciabatte te le facciamo dimenticare in due zompi.”
(Bastarde, le nuove scarpe.)

Millemila marche, ma con una schiacciante prevalenza dei modelli targati Nike.
E mentre rimuginavo su questa predominanza demografica di antica origine, mi si avvicina il commesso e chiede se mi può aiutare.
No che non può, dico io, sto scegliendo. Devo decidere. Sto pensando.
E lui mi fa: “Ma che tipo di scarpe cerca?”, e io, gonzo, pesto la prima bovazza.
Perchè rispondo “scarpe da ginnastica”, come si diceva ai miei tempi, e quello manca poco che si affoghi dalle risate.

Dopo un po’ si riprende, e mi illustra i vari settori del museo, spiegandomi come fossi un interdetto che ci sono le scarpe da footing, quelle da jogging, quelle da tracking, quelle da training, quelle da hiking, quelle da petting, e se ho capito bene anche quelle da pissing.
“Queste” dice poi, “sono le ultime arrivate”.
E mi sventola davanti al naso un paio di immensi airbag technicolorati.

Io allora lo fisso schifato, come se avesse in mano il feto di Alien, e dico: “Ma sono Nike.”
“Certo,” dice lui, “Nike, le numero uno.”
“Cazzo io non le compro le Nike. Io aderisco al boicottaggio.”
pelicula

Non so se a causa delle quattro sillabe o del loro significato, ma in quell’istante il commesso si blocca come in uno stop-motion, e sulla sua faccia si materializza un gigantesco punto di domanda.

E forse è solo una mia impressione, ma anche la folla che riempie il negozio all’improvviso si paralizza, smette di cianciare e si volta allarmata verso di me.
Il boicottaggio?

Orcocan. Il boicottaggio, certo. Non mi direte che non ne sapete niente, eh?

(Ancora silenzio.)

E dai, il boicottaggio. Le fabbriche occidentali chiuse, i lavoratori sbattuti in mezzo alla strada, i governi di paesi poveri corrotti a suon di mazzette, i laboratori clandestini, i bambini schiavizzati, le donne incinte addormentate sfinite sui banchi, la colla sulla pella nuda, le piccole mani escoriate, i vapori di vinile negli occhi, gli incidenti mortali, le bastonate dei guardiani, il filo spinato, le incursioni dei free-lance, i tribunali internazionali, le catene umane, le condanne. Amnesty International, l’ONU, l’UNICEF, il Dalai Lama. Il boicottaggio.
(Persiste il silenzio. Sulle teste degli avventori stupefatti sbocciano come funghetti dei cartoni animati ulteriori punti interrogativi.)

Ma fate finta? Mi volete prendere in giro?
Gente, anche a me piacciono le Nike. Sempre piaciute.
Ma è dagli anni ’90 che resisto alla tentazione di comprarmele.
Anche quelle strafighe, anche quelle in liquidazione.
Anche quelle morbide e leggere che mi stanno addosso che sembra che le abbia disegnate appositamente per me il calzolaio di Dio.

Ma tengo duro. Non le compro. Boicotto.
(Facce tonte, a trecentosessanta gradi. Sembra quasi che non capiscano di cosa io stia parlando.
E allora mi si chiude un po’ la vena.)

Certo, maledetti cinici avidi insensibili sfruttatori, IO boicotto.
È dagli anni ’90 che boicotto, che con il mio piccolo stupido sacrificio cerco di dimostrare ai potenti della Terra che anche noi viscidi consumatori contiamo qualcosa, abbiamo una coscienza, un’anima, dei valori.

È dagli anni ’90 che predico che non è giusto scrollare sempre le spalle e piagnucolare “tanto cosa si può fare”, e “ci penserà qualcun altro”. Ogni tanto bisogna prendere posizione, e fare qualcosa. E se poi questo qualcosa costa così poco, accidenti, perché no?

È dagli anni ’90 che forse solo attraverso il boicottaggio sento di aver fatto qualcosa che possa aver contribuito alla costruzione di un mondo migliore.

Ed è dagli anni ’90 che rompo orgogliosamente le palle a familiari ed amici, prima cercando di spiegare con le buone, e poi aggredendoli quando li vedo andare in giro con l’odiata virgolina: ma che bravo! Sei contento? Quanti bambini poveri hai lasciato che perdessero la vista, oggi? Quanta gente hai lasciato bastonare? Quante donne hai lasciato abortire dalla fatica?
(Prima che me lo chiediate no, non credo di aver mai convinto nessuno. Ma credetemi, ce l’ho messa tutta.)

Io, che piuttosto che indossare delle Nike che mi avevano regalato, sono andato a cambiarle con un’altra marca, anche se erano il numero sbagliato, mi stringevano sui mignolini, l’unghia dell’alluce è diventata nera, e oggettivamente sul piano estetico facevano pena. Ma almeno non grondavano sangue di bimbo.

Io, che ho quasi rovinato delle amicizie con gente a cui ho dato del torturatore e dell’imperialista per via della maledetta virgolina.

Io, che quando sono stato a New York ho visitato l’infame Nike Tower con quell’espressione a metà tra lo schifato e l’incredulo che secondo me dovevano avere gli Alleati quando sono entrati per la prima volta nei lager nazisti.

Io, che…

Io che all’improvviso vengo colto da un dubbio orrendo.
pelicula
(Se fosse un film, ora la macchina da presa sposterebbe il fuoco dalle scarpe “appena arrivate” all’ominide stupefatto che me la sta spenzolando davanti al naso.
I capelli cotonati, i tatuaggi, il petto lissio senza un peletto, e soprattutto le sopracciglia brutalizzate da un’estetista sadomaso lanciano un messaggio molto chiaro.
Orca vacca, sta a vedere che non siamo più negli anni ‘90.)
Orrido, orrido dubbio.

Niente boicottaggio?
Che boicottaggio?
Cacchio IL boicottaggio. La campagna internazionale. La madre di tutte le buone cause.
L’occasione strepitosa per sentirsi un giusto senza in effetti doversi sbattere a far niente.
Il boicottaggio, dio d’un dio.
(Altro che dubbio. Dalla regia del mio cervello mandano in onda flash di quei soldati giapponesi sperduti sulle isole del Pacifico, che ancora negli anni ’80 erano convinti di essere in guerra con gli Stati Uniti.)

Il boicottaggio che…
Forse il boicottaggio non c’è più.

Forse mi sono perso un decennio di grandi sconti.
E due visite a New York.

Forse sto donchisciottando contro un mulino a vento che nel frattempo è diventato una pala eolica, ma io non me ne sono accorto.
Forse.

Non sono mica sicuro. Non sono più sicuro di niente.
Sono davvero rimasto solo io, su questa stupida isola, io e il mio boicottaggio?
A questo punto, inutile come un gomitolo di lana wireless.
Non mi resta che appellarmi a voi, navigatori di passaggio.
Fate un’opera buona. Salvate un cercopiteco.
In un modo o nell’altro, ditemi se ho avuto ragione. Se ho sbagliato.
O se sto sbagliando, adesso.

Perchè, nel caso, c’è un bel po’ di gente a cui devo chiedere scusa.
pelicula


P.S. Articolo di The Guardian, luglio 2012, ripreso da WorldFinance, marzo 2014:

“La campagna di boicottaggio della Nike negli anni ’90 ha avuto un successo tale da divenire di fatto una lezione su come gigantesche multinazionali possano essere obbligate a render conto delle loro azioni da parte di ordinari consumatori. […] A seguito della campagna di boicottaggio, oggi Nike opera con un livello di correttezza e trasparenza impensabili vent’anni fa.
[La campagna di boicottaggio] ha fatto sì che l’attenzione agli aspetti etici e alla responsabilità sociale siano molto maggiori in questa azienda che nella maggior parte dei suoi concorrenti.”

Dal sito di Ethical Consumer: elenco delle campagne di boicottaggio attive a ottobre 2013, lettera “N”:
Nestlé (per marketing irresponsabile), Nikon (diritti degli animali), Nokia Siemens (armi e forniture militari, diritti umani).
Nike: non pervenuta.

Da Wikipedia, voce “Soldati fantasma giapponesi”.
“Con il termine soldati fantasma giapponesi o resistenti giapponesi si indicano i membri dell’esercito e della marina nipponica che non obbedirono all’ordine di resa imposto dagli Alleati, formalmente entrato in vigore il 2 settembre 1945. […] Alcuni, tagliati fuori dalle loro unità dopo le offensive degli Alleati, semplicemente non vennero mai a conoscenza della fine del conflitto.”

E quindi.
Banzai.

Discussione

14 pensieri su “Ma insomma, ha ancora senso rinunciare alle Nike?

  1. Se sei un uomo, adesso boicotti anche la Germania, maggiore produttrice di suini in Europa, e ti astieni dal mangiare salsiccia e pancetta per i prossimi due decenni.
    Ti conosco: non ci riesci. Le Nike le puoi sostituire. Le costolette alla brace no.

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    Pubblicato da Haldeyde | 16 marzo 2014, 9:01 PM
    • Niente da fare. Aderisco a boicottaggi solo se adeguatamente promossi da oceaniche maggioranze.
      Non posso rischiare di trovarmi su un’altra isola deserta.

      E poi non posso rinunciare alla ciccia. Servirà molta energia quando la Angelona ci riproietterà all’età della pietra, e toccherà pedalare per tenere acceso il computer.

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      Pubblicato da Afterfindus | 16 marzo 2014, 9:21 PM
  2. Non sei solo, il boicottaggio é come l’Hully-gully (Edoardo Vianello) si comincia da soli e poi vengono gli altri…….forse.

    Comunque é sempre più dignitoso il boicottatore solitario che la mandria intenta a criticare il Mondo intero pur mangiandoci sopra, impunita come un branco di pidocchi sulla testa di un paralitico.
    Per la “ciccia” io proporrei di rimpiazzare le “Kulonen gegrillte Rippen” con delle bracciole di maiale oppure le “costillas de Iberico” non sono male, basta togliere le banderillas.

    Per il momento, l’unica cosa che non riesco a boicottare é la bronchite, però approfitto del tempo libero per insegnare alle tartine a cadere dalla parte senza marmellata.

    Coraggio, chi boicotta da sé, boicotta per tré.

    Grazie per l’ospitalità
    Orsù

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    Pubblicato da viman | 17 marzo 2014, 3:37 PM
    • Hai toccato un brutto tasto. L’hully-gully è il mio Moloch, il mio muro di Berlino, il mio limite culturale.
      Ho provato per anni ad unirmi alle masse ballonzolanti che fanno ohp, battono le mani e si girano tutti insieme, ma io sbaglio sistematicamente a girare e prendo (e distribuisco) gomitate a 360 gradi.
      Non ce la posso fare.

      In un suo vecchio spettacolare racconto, Woody Allen racconta di un tipo coltissimo che si intende di ogni forma di arte, ma ha un blocco riguardo ai mimi. Per quanto si sforzi, non riesce assolutamente a capirli.
      Con l’hully-gully io sono così: vorrei tanto zompare insieme agli altri, ma tutto quello che ci rimedio sono ginocchiate negli zebedei.
      E’ un mondo difficile. 😉

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      Pubblicato da niarb | 18 marzo 2014, 10:57 am
      • Bene, adesso siamo in due a non ballare l’hully-gully, io pero’ snobbo anche il Tamuré e la Lambada. Anzi, per dirla tutta, non ballo per niente.

        Per i boicottaggi, non bisogne perdere la speranza, la storia dell’umanità é un gigantesco elenco di eventi impossibili che si sono regolarmente realizzati qualche generazione dopo.

        Vedrai che al prossimo disgelo tutto si arrangerà.

        Grazie per l’ospitalità

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        Pubblicato da viman | 20 marzo 2014, 4:57 PM
  3. Immaginarti con la faccia sperduta dentro un negozio di scarpe è stato fantastico!Aaaaah uomini che comprano roba:sempre uno spasso.

    Ora,parlando seriamente:se si dovesse vivere in modo etico e corretto al 100% non si dovrebbe più mangiare nulla e ci si vestirebbe ancora con le foglie di fico. È importante fare qualcosa,almeno qualcosa. Io boicotto la carne,tu le Nike. Insieme cambieremo il mondo! 😀

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    Pubblicato da V. | 18 marzo 2014, 12:47 PM
    • In effetti, da vero masculo, il mio sogno sarebbe che i vestiti ci crescessero addosso. Pensa che viaggione: uno si sbrodola, si macchia, si strappa, si versa addosso il sugo… e con una bella doccia, tutto sistemato.
      E senza neanche il rischio di sbagliare l’abito per ogni data occasione, o di andare fuori moda!
      Aaahh che goduria!!

       
      Sul boicottaggio, gli amici a cui rompevo l’anima con le Nike mi hanno sempre ribattuto: “Perché, pensi che la Reebok, la Adidas, la Puma e compagnia cantante si comportino in modo molto diverso?”

      La mia risposta è sempre stata: “La Nike è parte in causa perché è coinvolta direttamente in N processi internazionali, ben noti e documentati. Le altre marche, al momento, no.
      Quindi è inutile fare del benaltrismo. Se stai processando uno che ha commesso dei crimini, non lo puoi assolvere perché tanto in giro ce ne sono altri come lui. Intanto blindi lui, poi speri che l’esempio funzioni. Altrimenti blinderai uno alla volta anche tutti gli altri.”

      Ora, a quanto pare, la battaglia contro la Nike ha funzionato, e qualcosa sta cambiando. E va bene così.

       
      Infine, ci tenevo a dirti che appoggio incondizionatamente la tua campagna di boicottaggio contro la carne. Brava! Ci fosse più gente come te…
      …ne avanzerebbe di più per gente come me! E magari pure a prezzi più bassi 😉

      Ciao V., benvenuta su Afterfindus!

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      Pubblicato da niarb | 18 marzo 2014, 5:37 PM
  4. Sarei impossibilitato a partecipare: le scarpe di plastica non riesco a metterle. Se c’è dentro più di un tot di roba che non sia cuoio o tessuto comune, dopo mezz’ora i miei piedi sono ridotti ad un pantano fetente.

    Però ricordo di aver denigrato e boicottato le banane Dole all’epoca in cui finanziavano la guerriglia somala; non è servito un granché. Si vede che le banane sono un articolo più ostico delle scarpe, o magari sono io che come attivista valgo poco.

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    Pubblicato da fausto | 29 marzo 2014, 10:18 am
    • Ciao Fausto, non credo che esistano attivisti intrinsecamente dotati e attivisti scadanazzi. Il problema è la causa.
      Di cause buone ce ne sono a secchiate, in giro. Il trucco sta tutto nello sposare quella su cui in quel momento sono puntati i riflettori.
      Gli articoli che ho riportato in fondo al mio testimoniano che c’è stato un momento in cui l’azione non degli “attivisti” (parolone in cui non mi riconosco, essendo una bestiaccia pigra) ma di tanti singoli individui ha costretto una grande multinazionale come la Nike a rivedere suoi determinati atteggiamenti.

      Con la Dole, se non è successo, è solo perché la risonanza è stata inferiore. Se ne è parlato di meno.
      Non era la causa a essere meno giusta, o meno interessante, o i suoi sostenitori meno fighi. (Io, per esempio, non ne ho mai sentito parlare. Non che io faccia statistica, naturalmente.)

      Come rimediare? E’ evidente. Smettendo di indossare scarpe che fanno puzzare i piedi, e usando al loro posto bucce di banana.
      In questo modo, oltretutto, eviteremo noi di scivolare (avendo le banane già ai piedi), e lasceremo che a farlo sia il mondo.

      Che, peraltro, ci riesce già benissimo anche da solo. 😉

      Piace a 1 persona

      Pubblicato da niarb | 2 aprile 2014, 12:03 PM
  5. Di giapponesi su un’isola desera ce n’è in abbondanza, almeno uno a testa. Senza scomodare le multinazionali ci sono biocottaggi più terra terra che quasi tutti adottano.
    Ci son quelli che boicottano quel fornaio perchè è caro, chi il veduraio perchè sua figlia veniva a scuola con me, chi rete4 perchè c’è Fede, chi la FIAT perchè è dei padroni chi la Co op perche son comunisti, chi quella pizzeria perchè il padrone è un usuraio, chi quel dottore perchè ha fatto morire la zia.
    Io boicotto carne e latticini a prescindere da quanti siamo sull’isola.

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    Pubblicato da Ijk_ijk | 21 aprile 2014, 8:39 am
    • Ciao Ijk_Ijk, e benvenuto? benvenuta? su Afterfindus.
      In effetti hai ragione, siamo tutti un po’ boicottatori. A volte consci, a volte inconsci.
      A volte siamo ingaggiati in guerre epiche (la Fiat, Rete 4, la Coop), e a volte in scaramucce di confine (il fornaio, il verduraio, la pizzeria, il dottore).
      Eppure, ha quasi sempre senso combattere.

      Perché le guerre “piccole” si vincono proprio così. Insistendo, raccontando, sputtanando. Dando l’esempio.
      E le guerre grandi, quelle che ci sembrano sproporzionate, titaniche, impossibili… allo stesso identico modo.

      Vent’anni fa credevo francamente impossibile poter far cambiare comportamento ai ricchissimi e potentissimi e occultissimi padroni della Nike. Dandomi da fare, forse, avrei potuto mettere il quartiere contro al pizzaiolo sozzone, ma la Nike…
      Oggi invece osservo soddisfatto che così come si può piegare un pizzaiolo, lo stesso si fa con una multinazionale. Perché entrambi ragionano con la stessa unità di misura: i soldi. Meno ne arrivano rispetto a prima, più diventano ragionevoli, e flessibili.

      La parte grottesca di questa storia è che io, pirla, ho continuato a boicottare… quando ormai la guerra era finita.
      E, a differenza dei giapponesi, avevamo vinto noi.

      "Mi piace"

      Pubblicato da niarb | 21 aprile 2014, 5:07 PM
  6. Grandissimo. C’è poco da dire. L’unica arma in mano ai consumatori è il boicottaggio perchè è proprio l’unica a dare risultati concreti. E quindi. Banzai (da una che boicotta Nestlè da 25 anni).

    Piace a 1 persona

    Pubblicato da Paola | 14 Maggio 2015, 1:39 PM
    • Ciao Paola, grazie del commento, e benvenuta su Afterfindus!

      Il boicottaggio potrebbe essere davvero l’arma perfetta: facilissimo da fare, ai consumatori non costa un centesimo, e colpisce le multinazionali proprio dove gli fa più male. Bastano solo un briciolo di informazione, e una molecola di ragionamento.

      In Italia, quindi, non funzionerà mai. 😉

      "Mi piace"

      Pubblicato da niarb | 16 Maggio 2015, 9:26 PM

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