Gentile Contessa,
è con malcelato stupore che prendo atto delle curiose notizie che avete avuto la bontà di farmi pervenire dal Vostro Regno inquieto.
E ne comprendo il merito, Contessa, anche se mi vedo costretto ad ammettere che il significato, un po’, mi sfugge.
Dovrei sorprendermi, forse? Dovrei dare atto di scandalo, o di sacro furor patrio?
Voi ben sapete, Contessa, quanto poco mi stimoli il discorrer di politica, ancorché nella sua più spassosa e coreografica versione: quella, appunto, italica.
Ma la Vostra cortese accoratezza mi costringe ad un umile, bonario commento.
Mi scrivete, Contessa, di quanto il pubblico dibattito nel Vostro acrobatico Paese, in questi giorni crepuscolari, sia lacerato dall’annosa questione di queste cosiddette “elezioni primarie”. (Un vocabolo alquanto curioso, dovete convenirne. Che mai significa: avete forse anche elezioni secondarie?)
Sia come sia, tali primarie, se ben comprendo, altro non sono che un meccanismo bizantino volto a decider nomi, idee e strategie di uno dei due principali schieramenti che si fronteggian nell’agone.
E finchè queste primarie servivano a trarre dal cappello il nome di uno dei soliti cloni già visti, rivisti e trivisti, tutto era liscio. Ma oggi mani nuove hanno infilato nel ribaldo copricapo il proprio bigliettino: gente ribelle, voci fuori dal coro, neuroni per ora non soggetti alle antiche briglie. E allora, mi chiedete, che fare?
Chi lasciar che vi partecipi, e chi escludere a priori? Privilegiare l’equilibrio, o tendersi all’ignoto? Rischiare novità, o attenersi a retoriche ben collaudate?
E già che siam di strada, dovrebbe forse lo stesso meccanismo essere esteso all’altra metà del cielo, la destrorsa, in loco dello sfrenato culto della personalità che ivi impera?
Prendo atto del dilemma, mia Signora, ma mi vedo ancor costretto ad ammettere la mia inània a sciogliere cotanto nodo. Io mi diletto di Democrazia, è vero, ma non degli strani dialetti in cui il vostro creativo popolo ama distorcerla.
Perché vedete, Contessa, coloro i quali furon punti dalla vaghezza di coniare il termine “Democrazia”, avevano di fatto in mente un concetto ben diverso da quello ahimé in uso nei Vostri lidi.
“Democrazia” sono gruppi di persone che si aggregano poiché hanno un’idea in comune che li unisce, e non gruppi di persone già solidamente aggregate che cercano in una consultazione elettorale un’idea cui ispirarsi.
“Democrazia” è quando leader riconosciuti radunano intorno a sé folle che ne condividono i pensieri, non quando i leader vengono scelti alla roulette, e poi in base al numero che esce si cerca di mettere insieme quattro idee per plasmar di conseguenza l’orientamento del partito.
Del resto, se si desidera andare al cinema, di norma prima si sceglieil film che si vuol vedere, e in base a quello la sala in cui recarsi. Sarebbe strano andare sempre nel locale d’abitudine, e una volta là decidere per alzata di mano quale pellicola far proiettare.
Rassegnatevi, Contessa. Il Vostro Paese della Democrazia ha appreso parole e rituali, non i concetti.
C’è stato un tempo in cui non avevate vergogna a battezzare con il loro nome i Vostri intrighi di palazzo. Il tempo dei Romani, il Medioevo, l’età dei Comuni, il Rinascimento, le Signorìe, ed altro ancora. Nelle epoche andate non avevate pudore a discettar di famiglie, di sangue, di faide, di congiure, di inganni, di letti, di veleni, di rappresaglie, di ruberie, e di quant’altro accompagna, da sempre, le diatribe per il potere.
Ma poi, chissà perché, avete deciso che tutto ciò mancava di eleganza e di modernità. E allora avete reimbottigliato lo stesso vino in bottiglie nuove con l’etichetta: “Democrazia”.
Ma democrazia non è mai stata. Forse, piuttosto, demo-crazya, nel senso di “dimostrazione di follia”.
La cerimonia dei seggi e delle urne non è, di suo, garanzia di agire democratico. Non quando vincitori e trombati metton radici nelle stanze del potere, e là si alleano, si tradiscono, si fondono e si reimpastano senza soluzione di continuità, nei secoli dei secoli dei secoli – amen. Se non ci pensasse ogni tanto Sorella Morte a schiavardarli dalle loro poltrone, la Vostra classe dirigente passerebbe l’eternità a trastullarsi in questa ipnotica danza browniana.
Dal momento in cui sono crollati i grandi ideali contrapposti che hanno infiammato il ventesimo secolo, la storia della Vostra politica è stata la storia di gente che disponeva di ingenti quantità di denaro, che con il denaro comprava voti, consensi e alleanze, e che in base al denaro definiva le proprie azioni, amicizie e priorità.
C’è un nome tecnico, per questo. E non è “democrazia”, Contessa, bensì “plutocrazia”.
In seguito, in forza del miserabile esempio dei più sguaiati tra i plutocrati, la Vostra vita pubblica è ulteriormente devoluta in forme sempre più pecorecce, più volgari, più sfrontate. Una caciara per nani, ballerine e rubamazzi.
Una triste democrazia di pippe e pipparoli, altresì detta pippocrazia.
E quindi, dopo plutocrazia e pippocrazia, non Vi resta che sperare nello stadio successivo: la paperinocrazia.
Forse allora, chilosà, pur restando servi della vostra malasorte, avrete dei nipotini in gamba, e risulterete tutto sommato dei simpatici perdenti…
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