Ad un certo punto, indicativamente verso la fine degli anni ’90 del XX secolo, scomparve il congiuntivo.
Okay, ammettiamolo, non fu una tragedia epocale. A conti fatti, il congiuntivo non era una proteina indispensabile alla vita, né una fonte di energia a basso costo, né un sistema per salvare dalla fame le popolazioni dei paesi poveri. Non era nemmeno un mammifero acquatico intelligente e giocherellone o un orsetto con gli occhi pesti e palesi difficoltà riproduttive.
Era semplicemente una forma verbale. E come tutte le altre forme verbali (e peraltro come tutto il resto delle regole della grammatica) serviva solamente a rendere un po’ più ricca la lingua.
Ora, ci si potrebbe domandare: ma è proprio così fondamentale rendere ricca una lingua? Non sarebbe meglio rendere ricchi sè stessi, per dire, o al limite gli orfanelli del Darfur?
Chi ha deciso che un idioma debba necessariamente essere complesso, espressivo, pieno di sfumature o ricercato? La maggior parte delle scimmie riesce a esprimere tutto quello che ha in testa semplicemente declinando il fonema “ngh! ngh!”, mentre i delfini trillano e pigolano, e sono contenti così.
Detta come va detta, se fosse una questione di pura e semplice sopravvivenza, all’essere umano medio potrebbe bastare un ventaglio ristretto di frasi elementari: voglio mangiare, voglio bere, voglio accoppiarmi, voglio andare all’outlet, voglio cambiare gestore telefonico, voglio picchiare l’arbitro.
Il fatto è che le persone sentono talvolta la necessità di esprimere concetti complessi, sfaccettati, sfumati, se non addirittura astratti. Sensazioni, emozioni, ipotesi e progetti: un genere di robina che richiede una struttura comunicativa leggermente più articolata di “Io Tarzan, tu Jane”.
Ecco perché, in tutte le epoche e a tutte le latitudini, le comunità umane hanno sentito l’esigenza di elaborare una propria lingua, con il relativo corredo di regole, assiomi e consuetudini. La lingua è una specie di DNA di un gruppo etnico, geografico o culturale. E’ lo spartiacque tra indigeni e stranieri, tra chi è solidamente inserito nella società e chi invece non ne fa parte: lo straniero, il reietto, il gommonato. Pare addirittura che un tempo parlare in modo sgrammaticato fosse controproducente, in quanto indice di umili origini, scarsa istruzione, basso livello sulla scala sociale, rozzezza.
L’Italia, fino a fine XX secolo, non fa eccezione. Abbiamo scongelato parecchi testi di grammatica dell’epoca, e le regole sono tutte lì, scritte chiaramente in nero su bianco. Non particolarmente avvincenti, questo sì, ma decisamente più semplici del calcolo differenziale. Un’attenzione particolare era riservata proprio all’uso dei congiuntivi, considerati tradizionalmente più “difficili” delle altre forme verbali. Quando a un giovinetto capitava di omettere o sbagliare un congiuntivo, subito l’interlocutore (se adulto e istruito) interveniva riprendendolo e correggendolo. Sbagliare un congiuntivo era considerato prova di crassa ignoranza, ed era scusato soltanto ai bambini in età prescolare e agli stranieri di minor caratura.
Tanto per dare un’idea della rilevanza sociale del congiuntivo, dalle ultime trivellazioni sono emersi frammenti della telecronaca di un antico evento sportivo. Notate questo fugace scambio di battute tra i protagonisti:
– Allora ragioniere, che fa? Batti?
– Ma… mi dà del tu??
– No, dicevo: “Batti lei?”
– Ah, congiuntivo!
Poi, come detto, ad un certo punto scattò un’epidemia di indulgenza. I ragazzi che sbagliavano, sostituendo al terrificante congiuntivo il più semplice indicativo, smisero di essere ripresi. Gli adulti, pur addestrati alla “consecutio temporum” con insistenza e metodicità, impararono con sorprendente rapidità a lasciar perdere. Orrende sgrammaticature che, solo pochi anni prima, avrebbero avuto l’effetto di un gesso che stride durante la Sonata al Chiar di Luna di Beethoven, divennero improvvisamente accettabili.
O meglio, si smise di farci caso.
Strano a dirsi, alfieri di questa rivoluzione non furono garzoncelli di borgata o contadinotte teledipendenti. Al contrario, proprio quelli che avrebbero dovuto essere i paladini della lingua si rivelarono i rivoluzionari più agguerriti: scrittori, giornalisti, accademici, opinionisti, uomini e donne di “cultura”, comunicatori di professione, anchor-men e anchor-women(1), politici e maître-a-penser assortiti.
E lo fecero pressoché all’unisono, senza premeditazione, senza manifesti ufficiali, senza riunioni clandestine, e soprattutto senza ritegno, prendendo silenziosamente esempio e giustificazione l’uno dall’altro, in uno sfoggio di armonia sopra-partitica quale, peraltro, in Italia non si era mai vista (e mai più si vide). Tutta questa autorevole umanità incominciò, intorno al cambio di millennio, a infiorettare i propri vaniloqui di “speravo che venivi”, “credo che deve”, “penso che è”, “se lo sapevo lo dicevo” e simili raffinatezze, senza provarne vergogna o ribrezzo.
Ancor più strano il fatto che non vi fu alcuna reazione. Nessun Accademico della Crusca scese in piazza agitando striscioni, nessuna maestrina dalla penna rossa si incatenò ai cancelli della TV di Stato, nessun poeta canuto si diede fuoco davanti al ministero della pubblica istruzione, nessuna nostalgica Brigata Dolcestilnovista infranse vetrine di edicole o incendiò quotidiani. Silenzio assoluto. La Rivoluzione Ignorante spazzò via in un lampo l’antico eloquio. Si venne addirittura a creare una nuova classe di paria: gli stranieri più colti che, formati su grammatiche stampate (pazzi!) e non sulla Grande Madre Catodica, all’improvviso si trovarono, soli, a parlare una lingua desueta.
Come spiegare il fenomeno? Le teorie più consolidate sono ancora fonte di dibattito tra i linguisti moderni. Ci limiteremo in questa sede a richiamare le principali:
- C’è l’ipotesi biblio-batteriologica: una somministrazione controllata da parte di servizi segreti stranieri di spore nebulizzate di pulce del congiuntivo, un’avida divoratrice di corpi grammaticali nota fin dall’antichità(2)
- C’è l’ipotesi ergo-economica: abbreviare i periodi consente un minor stress dei muscoli mascellari e del silicone labiale. Il che, dato il costo medio di un intervento di chirurgia estetica, costituisce una solida forma di protezione dell’investimento
- C’è l’ipotesi geo-comparativa: gli americani sono il popolo archetipicamente più fico, e il congiuntivo in inglese non esiste: ci sarà un nesso?
- C’è l’ipotesi para-oftalmologica: la congiuntivite è una brutta cosa, fa lacrimare gli occhi, e va assolutamente evitata.
Sia come sia, la Rivoluzione Ignorante ebbe un clamoroso successo.
Ma fu davvero un evento così imprevedibile, e fortuito? Al di là delle ipotesi sopra elencate, i miei studi dimostrano che si può trovare una sinistra premonizione di quello che sarebbe successo nelle centurie del già citato “1984“:
«L’Undicesima Edizione del Dizionario della Neolingua è quasi pronta. Stiamo dando alla lingua la sua forma finale. […] Tu credi, immagino, che il nostro compito principale consista nell’inventare nuove parole. Neanche per idea! Noi le parole le distruggiamo, a dozzine, a centinaia. Giorno per giorno, stiamo riducendo il linguaggio all’osso. […] È qualcosa di bello, la distruzione delle parole. Naturalmente, c’è una strage di verbi e aggettivi, ma non mancano centinaia e centinaia di nomi di cui si può fare tranquillamente a meno. […] Non è una cosa meravigliosa?»
[…] «Non hai ancora capito che cos’è la neolingua, Winston. […] Lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere al massimo la sfera d’azione del pensiero. Alla fine renderemo lo psicoreato letteralmente impossibile, perché non ci saranno parole con cui poterlo esprimere. Ogni concetto di cui si possa aver bisogno sarà espresso da una sola parola, il cui significato sarà stato rigidamente definito, priva di tutti i suoi significati ausiliari, che saranno stati cancellati e dimenticati. Nell’Undicesima Edizione saremo già abbastanza vicini al raggiungimento di questo obiettivo, ma il processo continuerà per lunghi anni, anche dopo la morte tua e mia. A ogni nuovo anno, una diminuzione nel numero delle parole e una contrazione ulteriore della coscienza.”
Opperlamiseria. Non ho nessuna voglia di farmi accusare di psicoreato. Forse la dovrei piantare con queste lunghe e barbose riflessioni. Da domani: SMS, Twitter, segnali di fumo e bandierine colorate. Vedete di farvele bastare.
Ispirato da “1984” (George Orwell, 1948), “Fantozzi” (film del 1975 di Luciano Salce e Paolo Villaggio), e da praticamente tutte le trasmissioni televisive del XXI secolo.
Nota 1: Trattasi a quanto pare di una casta speciale di giornalisti imbarcati su navi, che avevano il ruolo di occuparsi degli ormeggi una volta raggiunta la destinazione. Torna su
Nota 2: “La pulce del congiuntivo […] mangia tutte le persone del congiuntivo, con preferenza per la prima plurale. Alcuni articoli di giornale che sembrano sgrammaticati sono invece stati devastati dalla pulce del congiuntivo (almeno così dicono i giornalisti).” Stefano Benni, “Il bar sotto il mare”, 1987. Torna su
Ciao Niarb e complimenti per il tuo articolo… serio, divertente ed ironico allo stesso tempo 🙂
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Grazie mille Riccardo! Se sapevo che ti piaceva lo scrivevo più lungo. Credo che è importante che le persone sanno parlare bene la loro lingua.
(oh, maledizione, è pieno di pulci del congiuntivo da queste parti…) 😉
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Credevo di aver fatto abbastanza il buffone io sul congiuntivo. E invece la realtà è sempre un passo avanti, pronta a bagnarti il naso…
“Congiuntivi” dal blog Carpiano2012.
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La saga continua. Depresso Gioioso che cita Afterfindus che cita Carpiano2012. E chi Cita Tarzan?
Voilà: Bambino vessato perché ama la nostra lingua.
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After … io non so come sia possibile ma non ti conoscevo e ho sempre pensato la stessa cosa dopo aver letto 1984 e aver comunque sempre pensato (e sempre, barbosamente ripeto, sempre, sempre sempreeeee) “la complessità del linguaggio riflette la comlessità del pensiero”.
My god.
Non sono solo.
:’-)
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No no, non sei solo proprio per niente.
Per inciso, questo spiega anche perché non mi farò mai un account su Twitter: sono troppo contorto… 😉
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e lo fai conragione!
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