Ben incastrata tra l’iceberg Lappone e quello Padano, ho riportato di recente alla luce una botte piena di antichi manoscritti.
Si tratta di alcune delle più oscure centurie di un antico profeta. Un uomo che, pur morto agli albori dell’Età del Cabaret, fu in grado di prevedere con assoluta precisione il corso degli eventi futuri, fino alla Grande Glaciazione.
“I termometri istessi congeleranno,” scrisse “e il sottile filo di argento vivo che ivi contengono resterà tosto pietrificato“. Non sapeva, il saggio, che i termometri a mercurio sarebbero stati messi fuori legge di lì a vent’anni, ma per il resto la centuria è esatta.
Ed è proprio in nome di questa antica visione che ancora oggi lo ricordiamo con il nome di Freddo Mercury.
Tenteremo oggi l’esegesi di una sua famosa quanto oscura profezia. Secondo la mia personale interpretazione, si tratterebbe nientemeno che di un frammento di una monumentale opera biografica dedicata al più famoso esponente dell’infausta Età del Cabaret. Un personaggio di cui, al momento, mi sfugge il nome. Ma di cui, in questi versi immortali, è mirabilmente descritto il tramonto.
Is this just fantasy?
“E’ forse questa vita reale, o è solo un film fantasy?”
Risale più o meno a quei tempi la trilogia cinematografica “Il Signore degli Anelli”, che divenne immediatamente un cult per milioni di appassionati in tutto il mondo, e che ebbe anche un forte impatto sulla cultura mainstream e sull’immaginario dell’uomo medio. Molti termini e concetti del mondo fantasy divenero di uso comune. A titolo di esempio, il parlamento italiano di quegli anni viene spesso descritto come un’accozzaglia eterogenea di nani, orchi e (riferendosi ad alcune neo-deputate) gran troll.
E’ un riferimento ai frequenti episodi di dissesto idrogeologico che, agli albori del XXI secolo, ridisegnarono completamente la geografia italiana. Come sappiamo, ai tempi della Vecchia Repubblica bastavano poche ore di pioggia perché interi paesi venissero spazzati via da violente slavine o sepolti da tonnellate di fango. “Bloccato da una frana” è indubbiamente una bella immagine, che deve farci ricordare con orgoglio i nostri antenati. Nessun altro paese, mai, riuscì con tanta efficienza a portare a termine un così grandioso programma di georistrutturazione. Fallirono nazioni ben più monsoniche della nostra, stati molto più montuosi, paesi ben più vulcanici, zone costiere assai più tsunamizzabili.
I nostri Antichi Padri, invece, riuscirono con costanza e testardaggine a imporsi sul volere della noiosa, statica, prevedibile Natura.
L’io narrante non esprime rammarico di fronte a questa tremenda affermazione, che al contrario deve essere interpretata come una minaccia: “Non provate nemmeno a evitare i reality, vi beccheremo comunque”. E infatti nei versi successivi si trova immediatamente la conferma:
Pare che l’uomo in questione avesse il controllo di tutti i mezzi di comunicazione di massa tranne questo Sky, che era di proprietà di un suo omologo residente nella lontana Canguria. Questi versi possono quindi essere traslitterati in: “Vi bombarderò di reality, non avrete scampo, e se anche proverete ad abbonarvi a Sky vedrete che le cose non saranno diverse”. Erano tempi molto, molto duri.
Come oggi ben sappiamo, l’uomo non era affatto un poveraccio, anzi era il contrario fatto e finito di un poveraccio. Ma questi testi avevano spesso una larga diffusione, e sarebbero sicuramente arrivati anche alle orecchie della temuta Guardia di Finanza (una sorta di Robin Hood burocratico dell’epoca). L’io narrante, per sua natura avvezzo a mentire in modo sistematico e spettacolare, cerca quindi con queste parole di distogliere l’attenzione dalle proprie stucchevoli risorse finanziarie.
Secondo un’esegesi più tarda della scuola pissicologica di Chiavari, questo verso rappresenterebbe invece un delicato e drammatico momento di introspezione: il protagonista, gonfio di potere e possedimenti materiali, una mattina, di fronte allo specchio, si guarda con gli occhi di qualcun altro (di chiunque altro, per l’esattezza), e commenta amaramente “avrò anche i soldi, ma sono proprio un poveraccio”.
Questi due versi (presentati qui per la prima volta in versione integrale) sono in realtà un excursus piuttosto volgare sulle abitudini sessuali del narratore. Il fatto che soffrisse di eiaculazione precoce (“easy come”), e fosse uso andare e venire (presumibilmente da un’amante all’altra), nonostante il suo membro fosse di ridotte dimensioni sia in fase di erezione (“little high”) che in fase di rilassamento (“little low”), è francamente superfluo ai fini del racconto. In effetti, però, la Storia ci tramanda di come questo eminente statista avesse il vezzo frequente di infiorettare il proprio eloquio di aneddoti irripetibili sulla propria sessualità, e di osservazioni triviali su una varietà di altri personaggi pubblici. In quest’ottica, i versi sopracitati rientrano perfettamente nell’iconografia del personaggio.
Anche questo verso rientra nella traditio vulgaris di cui sopra, con in più l’aggravante di fare esplicitamente il nome di una soubrette dell’epoca. L’allusione è comunque da intendersi come una mera spacconata da osteria, non poggiando infatti su alcun riscontro storicamente provato.
A questo punto nel poema cambia la voce narrante.
Il protagonista tace (si tratta di un’opera letteraria, pura finzione) e prende voce il suo stalliere, un uomo che per motivi non del tutto chiari si riferisce al capo con il termine “mammasantissima”, abbreviato in “mamma”. L’uso del termine “mammasantissima” al posto di “capo” è tipico di alcune organizzazioni commerciali dell’antica Trinacria, e trova riscontro in diversi film in cui gli attori sono vestiti con gessati scuri, portano in giro custodie di violoncello e incendiano botteghe e pizzerie con una certa sistematicità.
I just killed a man,
Put a gun against his head
pulled my trigger
now he’s dead
“Capo, ho ucciso un uomo. Gli ho puntato la pistola alla testa, ho tirato il grilletto, e quello è morto”
Descrizione mirabile: accurata, essenziale, minimalista. Cinematografica, direi. Magari la conclusione non sorprende, ma la storia, dietro, c’è.
Qui il testo originale si macchia di un errore di trascrizione (l’opera, ricordiamolo, nasce come canzone). La parola finale non è “begun” ma “be gun”, con lo spazio. In questi termini, l’intera frase è traducibile con: “Capo, la vita mi ha fatto avere solo una pistola”, o “essere un pistola”. A voi la scelta.
Una confessione toccante. L’ansia e il rimorso che vincono la compostezza dello spietato stalliere-killer. A meno che, come reinterpreta il dott. P. Pallino, “thrown it all away” non sia invece da intendere “ho buttato via tutto”, nel senso di aver fatto sparire la pistola, corpo del reato.
Qui evidentemente il mascalzone si accorge di avere esagerato. Il Mammasantissima è un uomo di Stato, e avere alle proprie dipendenze uno che va in giro a sparare in testa alla gente può rivelarsi controproducente in chiave elettorale. Persino in Italia.
Ma le scuse affannose e le promesse del bravaccio vengono interrotte dalla voce del Capo:
Il Capo prosegue quindi con un triste, memorabile, monologo:
Era difatti abitudine dei giornali stranieri dell’epoca dedicare con una certa frequenza la propria copertina (ma anche le pagine interne, gli inserti e gli allegati) a sbeffeggiare il politico in questione. Si ignora con esattezza il motivo di tanto livore, ma quello che è certo è che se non ci fossero stati stampa e governi stranieri, il personaggio probabilmente sarebbe ancora ben saldo al timone della nazione.
Alla faccia dei secoli, dei limiti biologici, della glaciazione e di tutto il resto.
Il fatto che lo abbiano sputtanato sul Time provoca al Mamma dei brividi di rimorso, e malessere diffuso in tutto il corpo. Una commovente somatizzazione del suo tramonto politico, che alcuni recenti studi medici però considerano stranamente simile ad una crisi da sovradosaggio di una certa pillolina blu.
Al colmo della disperazione, il Mammasantissima prende addirittura in considerazione l’idea di emulare un suo antico mentore, che alle prese con problemucci di giustizia fece su armi e bagagli e lasciò il Paese. Senza mai ammettere le sue colpe (“alla faccia della Verità”).
Di fronte a un’ipotesi del genere, lo stalliere si lascia prendere dallo sconforto:
Anche questo verso annovera una minuscola imperfezione ortografica dovuta al fatto che il testo, per secoli, è stato tramandato esclusivamente per via orale: è sparita una virgola tra “to” e “die”. La traduzione corretta è quindi quella indicata: “non voglio, dài!”.
Ed effettivamente essere nella NATO poteva rivelarsi fonte di problemi seri per certi personaggi, dediti per loro natura a contrabbando, contraffazione, associazione a delinquere, riciclaggio e crimini violenti (oltre che, naturalmente, a strigliare, ferrare e sellare i cavalli). Ma il rammarico dello Stalliere viene interrotto dalla voce di una figura avvolta dall’oscurità, forse un avversario politico, se non addirittura il successore del Mammasantissima.
La tassa ICI (traslitterata in inglese in “I-CI”, pronuncia “ai sii”) era una delle bestie nere del Mammasantissima, noto palazzinaro ed evasore seriale.
La pesante provocazione buttata lì dal successore fomenta il supporto dei suoi stessi sostenitori:
Chi fosse questa “F” resta un mistero. A meno di non voler essere volgari, il che però non rientra nelle prerogative di questo saggio (e ci mancherebbe, ecchecazzo!), si deve escludere la facile chiosa per cui “F.” sia l’iniziale di un bisillabo scurrile con cui si designavano le belle figliole.
In ogni caso si tratta di un passaggio ambiguo, vittima di una traslitterazione purtroppo inaccurata. “Fandango”, porebbe significare, appunto, “[farsi la] F e poi andarsene”, ma anche “F and ANGO”, cioè “fango”. In questa accezione, “fango” è un esplicito riferimento a quello di cui il Mamma, secondo lui, veniva sistematicamente ricoperto.
Elegante il termine “scaramuccia” (scaramouche, alla francese) nel senso di “rissa, tafferuglio”.
E’ nuovamente il Mamma (o Papi che dir si voglia) a parlare. I tuoni e i fulmini sono naturalmente figure retoriche. “Tuoni” erano i pesanti commenti e le accuse lanciate da un ampio ventaglio di autorità internazionali contro al nostro eroe, e “Fulmini” erano gli strali lanciatigli contro da presidente della Repubblica, stampa nazionale, magistrati, lavoratori, operatori economici, e comitati di Mamme di Figlie Perbene.
Questi versi sintetizzano in modo mirabile la difficilissima situazione italiana al termine della prima decade del XXI secolo. La voce chiama, disperata: “Galileo! Figaro! Dove siete? Perché fuggite?”. Galileo, l’astronomo, rappresenta l’uomo di scienza. Figaro, il barbiere, il tipico lavoratore manuale. I Galilei di quegli anni erano costretti a trasferirsi all’estero per lavorare, perché a meno di essere interessati alle dinamiche dei call center in Italia c’erano ben poche occasioni per far ricerca.
Ma anche i lavoratori dipendenti erano una specie in via di estinzione, vista l’abitudine sistematica di trasferire all’estero qualsiasi attività manifatturiera ancora in attivo. Tra tutti, i barbieri erano quelli più prossimi tracollo economico (di qui la scelta di Figaro), soprattutto a causa della moda lanciata dal capo del governo di sostituire ai capelli una calotta in kevlar traslucido.
Per questo, di fronte alla fuga di menti e braccia, la canzone grida a pieni polmoni un richiamo nostalgico: “Non c’è un novello Lorenzo il Magnifico [mecenate delle arti e dei mestieri, N.d.T.] che possa venire in nostro soccorso?”
Da questo punto in avanti, l’opera assume ancor di più un contesto corale. Il brano che segue è un botta-e-risposta a più voci, sferzante come un duello, cruento come una battaglia, incalzante come un processo. Giusto, un processo…
Oltre al protagonsta, le parti in campo sono un gruppo di avvocati della difesa, e un coro di oscuri personaggi togati. L’epico scontro apre con un crescendo:
(Let him go!) Bismillah! We will not let you go
Non c’è ovviamente bisogno di alcun commento. Una sola nota semiotica: il simbolo araldico del protagonista (e del suo regno) era un biscione con corona in testa e fiore in bocca. Di qui il dispregiativo “Biscione milionario”, o “Biscia milionaria”, abbreviato con mirabile crasi in “Bis-milla”.
A furia di ronzare intorno al capo, anche lo stalliere finì infatti in gattabuia. Se si fosse accontentato di un ministero forse se la sarebbe cavata, come tanti altri.
Belzebù è il nome d’arte di un uomo politico di quei tempi. Di quei tempi e di molti altri. Un onorevole che si potrebbe definire “longevo”, ma non renderebbe l’idea. Diciamo pure “eterno”.
I “diavoli” invece erano una squadraccia di una dozzina di miliardari al soldo del Mammasantissima, che avevano il vezzo di andare in giro indossando mutandoni e giacca del pigiama a strisce rosse e nere.
Non è chiaro da questi versi se Belzebù volesse raccomandare qualcuno per l’ingresso in squadra, o se sia l’io narrante a chiedere in omaggio a Belzebù la squadra dei diavoli.
O forse il Capo sta implorando l’onorevole Belzebù e la squadraccia dei diavoli di accorrere in suo soccorso?
L’interpretazione non è univoca, e cela risvolti indubbiamente inquietanti.
Ma il Capo non è ancora finito. Ha un sussulto d’orgoglio verso chi lo vuole incastrare, e si ribella.
Alla fine però il grande donnaiolo viene affondato, mirabile contrappasso, proprio da una donna. O da una combinazione di donne.
Il primo verso della terzina è rivolto a una nota magistratessa dalla chioma di colore (che affronto!) vermiglio. Per inciso, “sputare in un occhio” era un’espressione gergale molto in voga tra i portatori di coppola e lupara.
Nei due versi successivi, il protagonista si rivolge a una sua amica, che pare volergli voltare le spalle nel momento del bisogno. E’ di questa “amica” la battuta seguente:
Siamo ormai alla cronaca degli ultimi giorni del Regime Buffo, quando anche le parlamentari più ossigenate e più tragicamente impreparate per rivestire un ruolo di governo (ma abili a fiutare i tempi) abbandonarono dalla sera alla mattina quel Capo che fino al giorno prima avevano testardamente idolatrato.
E il Capo comincia a perdere fiducia:
Qui l’agiografia incrocia la storia della scienza. Si narra infatti che nel corso degli Ultimi Giorni una delle apostole del Mammasantissima, a cui era stato affidato il dicastero della ricerca scientifica, si esibì in una imbarazzante osservazione. I fisici di alcune Università italiane e svizzere stavano studiando la composizione della materia, e in particolare le proprietà dei neutrini. Queste particelle, spiegarono alla ministra, costituiscono con buona probabilità una percentuale preponderante della materia invisibile dell’Universo. Ma, dicevano i fisici, non hanno massa.
E di qui lo scoramento della compagine di governo: stiamo investendo un sacco di soldi nella ricerca di materia che non ha massa, e che quindi non esiste. E poi ci accusano di sprecare il denaro pubblico!
Il poema si chiude con la voce del Capo, di colpo vecchio, sconfitto e frastornato, che ripete tra sé la sua malinconica fantasia senile: “E su tutte le strade la Vento continua a fare lavoretti orali…”
Gong.
Ahahahahahhaa bellissimo ho riso come un matto!
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> Niarb, come ho commentato sul tuo blog, sei geniale (soprattutto sul Wind blows
> e l’ICI ho riso per 10 minuti abbondanti ahahaha)
Ciao Vinileinile, grazie per il tuo commento! Ho avuto qualche perplessità prima di postare su un sito di fan – temevo un coro di “will you do the F & ANGO”… Per fortuna siamo tutti sudditi fedeli di Sua Maestà. Grazie!!
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Geniale!
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Troppo buono! Era Freddo Mercury quello geniale. Noi umili glossatori splendiamo semplicemente di luce riflessa.
He was the champion, my friend. 🙂
Grazie e ciao!
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Sì, è acclarato: tu sei pazzo.
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Lo so. Me lo dice sempre anche Brian May.
Del resto è per questo che sono diventato la divinità ufficiale di un piccolo popolo di omini che vivono sotto le assi del mio pavimento.
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Blasfemo! Se ti becca il fantasma di Freddy… 😉 😀 😀 😀
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…scapperò a nascondermi ad Arcore.
Magari sotto il tavolo, durante una cena elegante.
Sono convinto che Freddy, Bismillah!, apprezzerebbe. 😉
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