Umanamente

Per una volta che si ferma il treno

Il treno si arrestò all’improvviso, con uno scossone.
Dentro al vagone, urla e spavento. Una donna finì contro Benjamin, che a sua volta era rovinato addosso a un vecchio.
Per un istante, gli occhi sbarrati dei tre furono a pochi centimetri l’uno dall’altro, unici fari nel buio del vagone.
Poi riguadagnarono l’equilibrio, e si scostarono rispettosamente, mormorando delle scuse.

Tutto intorno, anche gli altri passeggeri stavano gradualmente recuperando la posizione eretta, e annaspavano nell’oscurità con le braccia tese e la bocca piena di domande.
“Cosa è stato?”
“Ma dove siamo?”
“Siamo già arrivati?”
“State tutti bene?”

 
Benjamin era vicino a una parete del vagone. Prima che scendesse il buio aveva notato una lama di luce farsi strada tra le assi che sbarravano un finestrino.
Si fece lentamente strada tra la folla smarrita, e a tentoni riuscì a ritrovare il punto esatto. Accostò l’occhio alla fessura, e sbirciò verso l’esterno.
“Non siamo arrivati,” disse. “Non siamo da nessuna parte. Sembra aperta campagna.”
Silenzio, tutto intorno.
Poi qualcuno disse: “E i soldati? Ci sono i soldati?”
“Nessun soldato,” rispose Benjamin. “Non c’è nessuno in giro.”
“E allora perché siamo fermi?” urlò una donna.
“Che ti importa,” rispose qualcuno “hai forse fretta di arrivare?”
Ci fu nuovamente silenzio. Nessuno aveva fretta di arrivare.
Sapevano tutti cosa li aspettava.

 
Come se si stessero svegliando tutti insieme da un lungo sonno, gli occupanti del vagone cominciarono a brancolare nel buio, a trovarsi, a riconoscersi, a stringersi.
Qualcuno prese a battere con i pugni sulle pareti, qualcuno cercava di arrampicarsi per raggiungere i lucernai. Cominciarono a parlare, tutti insieme.

“Okay, e adesso cosa facciamo?”
“Dobbiamo trovare il modo di uscire di qui.”
“Uscire, sì, ma per andare dove? Faremmo meglio a stare buoni, nel caso arrivino i soldati.”
“Siete pazzi. Io non voglio mai più vederli, i soldati.”
“Bravo. Allora vuoi vedere i lupi? Scommetto che è pieno, là fuori.”
“Io ho fame.”
“I soldati ci portavano da mangiare. Magari tra un po’ arrivano.”
“Ma che arrivano. Sono nascosti là fuori, con le mitragliatrici puntate. In attesa che mettiamo il naso fuori di qui.”
“Ma no, ora staranno riparando il treno, poi ci porteranno da mangiare.”
“E poi ripartiremo.”
“Bella prospettiva.”
“Preferiresti morire di fame qui dentro? O magari vorresti che cominciassimo a sbranarci tra di noi?”
“Mangiare! Ah! Lo chiami cibo, quella merda che ci buttavano? A casa mia neanche i maiali l’avrebbero toccata.”
“Signori, insisto. Aiutatemi a trovare qualcosa per forzare il portello. Poi saremo liberi.”
“Liberi di farci ammazzare.”
“Liberi di farli divertire con il tiro a segno.”
“Liberi di crepare di fame e di freddo e di bestie feroci. Liberi di scappare, e passare tutta la vita a nasconderci.”
“No, è giusto, avete ragione. Molto meglio stare qui, buoni e zitti, e aspettare che riparino il treno e ci portino al macello.”

 
Cominciò a volare qualche spintone. Benjamin divise due uomini, poi trattenne una ragazzina che stava cercando di salire sulla testa di una vecchia per arrivare alla grata di un finestrino.

“Amici! Amici!” gridò. “Amici, un momento di calma, ascoltatemi.”
Benjamin (questo non l’avevo detto) era molto grosso, alto, e aveva una voce che faceva tremare le pareti.
Per cui quelli intorno a lui si fermarono, e si volsero ad ascoltarlo.

 
Per come la vedo io,” disse “abbiamo due scelte. Possiamo cercare di calmarci, metterci a sedere, e aspettare. Qualcuno verrà sicuramente a cercarci.
Prima o poi ci porteranno qualcosa da mangiare, anche se sarà quella robaccia che sappiamo, ma i tempi dei pranzetti di casa sono finiti.
Possiamo aspettare la nostra razione, e intanto prenderci cura dei più piccoli e dei più anziani tra noi.
Possiamo ingannare l’attesa cantando, tenendoci per mano, e facendo finta di essere riuniti intorno al fuoco nelle nostre case, con i nostri cari e i nostri amici.

 
Oppure possiamo cercare qualcosa con cui forzare le porte di questo vagone. Possiamo picchiare e picchiare fino a farci sanguinare le mani. Possiamo scappare nella notte, e affrontare il freddo, il territorio sconosciuto, gli animali selvaggi, i briganti, le pattuglie, l’assenza di cibo, e di riparo.
Possiamo correre e poi marciare e poi strisciare, per giorni e settimane, tutto il tempo che servirà, fino a quando non saremo abbastanza lontani da questo posto.
E poi finalmente potremo fermarci. Da qualche parte, abbastanza lontano.
E lì ricominciare da capo. Costruire pezzo dopo pezzo una nostra comunità, basata sul rispetto reciproco, sulla solidarietà, sulla fiducia.
Una comunità dove treni come questo non verranno mai più costruiti.
E potremo ancora riunirci e cantare insieme alla sera, ma questa volta non sarà per la paura dell’isolamento, ma per la gioia di essere liberi.”

 

Prima che chiunque potesse replicare, un ometto con la faccia da gnomo raccolse un foglio da terra, lo sventolò e disse “E questo cos’è?”.
Qualcuno gli si fece intorno. Lo gnomo inforcò un paio di occhialini, e alla flebile luce della luna che filtrava dalle fessure del vagone esaminò con attenzione lo stampato.
“Maccheccazzo,” disse “è un’intervista dal futuro.”
“Figuriamoci,” disse una voce.
“Ci mancava solo questa.” rise un altro.
“E invece io non mi stupirei,” disse lo gnomo “se si è fermato il treno del nostro destino, vuol dire che questa è una notte magica.
E nelle notte magiche possono succedere un sacco di cose strane .”

 
Si sistemò meglio gli occhiali sul naso, e proseguì:

“È l’intervista a un certo Noam Chomsky, linguista e filosofo novantunenne, che verrà rilasciata a marzo del 2020,” disse lo gnomo.
“Saremo tutti morti nel 2020,” disse una donna.
“Parla per te,” dissero in coro alcuni bimbi, toccandosi ostentatamente il cavallo.

 
Lo gnomo lesse: “Dice che Forse, un lato positivo del coronavirus, è che potrebbe portare la gente a riflettere sul tipo di mondo che davvero vogliamo.
“Che cos’è un coronavirus?” chiese qualcuno.
“Non ne ho idea. Forse è una specie di guasto del treno,” rispose Benjamin “tipo una interruzione, una cosa inattesa”.
“Può essere,” concesse lo gnomo. E continuò: “Questo Chomsky dice di essere certo che, in qualche modo, la gente del 2020 riuscirà a superare la crisi del coronavirus. Ma saranno due gli esiti possibili: o l’instaurazione di Stati autoritari e brutali basati sul controllo dei singoli e sulle limitazioni delle libertà individuali, oppure una ricostruzione radicale della società in termini più umani, con maggiore attenzione ai bisogni umani piuttosto che al profitto economico.

 
Proseguì:
“Praticamente dice che la faccenda dell’emergenza potrà essere sfruttata per rendere permanenti tutta una serie di vincoli e costrizioni – regole, divieti, ordinanze, posti di blocco, moduli, app (qualsiasi cosa siano), oppure – ve lo leggo direttamente:

“C’è la possibilità che la gente si organizzi, si impegni, come molti stanno facendo, e porti a un mondo molto migliore, che affronti anche gli enormi problemi che stiamo incontrando lungo la strada, i problemi della guerra nucleare, più vicina di quanto sia mai stata, e i problemi della catastrofe ambientale da cui non ci sarà ripresa una volta che saremo arrivati a quella fase, e che non è lontana, a meno che non agiamo con decisione.

Quindi ci troviamo in un momento critico della storia umana e non solo a causa del coronavirus. Questo dovrebbe portarci alla consapevolezza dei profondi difetti del mondo, delle profonde e disfunzionali caratteristiche dell’intero sistema socio-economico, che deve cambiare se vogliamo sopravvivere nel futuro. Questo potrebbe essere un segnale d’allarme e una lezione per affrontarlo oggi o per evitare che esploda. Ma è necessario pensare alle sue radici e a come queste radici porteranno ad altre crisi, peggiori di questa.”

Quando la voce dello gnomo si spense, la gente nel vagone si scambiò occhiate perplesse.
“Non so cosa tutto questo c’entri con noi,” disse uno. “Questa è una storia di fantascienza. Noi non dobbiamo fare scelte epocali, come quei poveretti del 2020. Noi dobbiamo soltanto scegliere se aspettare che ci vengano a soccorrere, oppure salvarci il culo, e cominciare una nuova vita.”

 
E ricominciarono.

“Sì ma soccorrerci vuol dire che dopo ci porteranno voi-sapete-dove.”
“Beh ma scappare vuol dire esporsi a rischi che neanche ci immaginiamo.”
“Ma magari non ci portano davvero là.”
“E magari qui fuori non ci sono lupi, ma immensi frutteti incustoditi.”
“Beh io prima di abbandonare le mie abitudini e le mie certezze…”
“E poi, se proprio volessimo fondare questa fantomatica società alternativa, dobbiamo mettere in chiaro subito con quali regole.”
“Io se ci sono gli zingari non vengo.”
“Io se si mangia carne vi saluto.”
“Ma poi come eleggeremo i capi? Con il doppio turno secco o con lo scorporo e il ballottaggio?”
“E le olive? Mangeremo solo le nostre, o le importeremo dalla Spagna?”

 
Benjamin scrollò la testa, incredulo, e si guardò intorno.
Il vagone, il buio, la puzza, le divise, e la certezza, alla fine del viaggio, di un cancello di ferro con una scritta irridente sul lavoro e sulla libertà.
Si spostò verso il finestrino, e infilò le dita sotto a una delle assi che lo bloccavano.
Cominciò a tirare.

“Siete tutti pazzi,” ansimò. “Io scendo qui”.

 


 
Fonti
L’intervista l’ho trovata su Al Jazeera e, in italiano, sul bel blog di ilconformistaonline e su Pressenza International Press Agency.

L’immagine del treno è presa da Lager e Deportazione, e l’immagine della scritta sul palazzo di Santiago del Cile è tratta da ilconformistaonline (e da un miliardo di altre fonti), ed è opera del collettivo di artisti audiovisuali Delight Lab.
 

Discussione

6 pensieri su “Per una volta che si ferma il treno

  1. Bel racconto. “fermate il mondo che voglio scendere..” si diceva.
    Il mondo ha rallentato un poco ma non ho visto quasi nessuno che volesse scendere.
    Oggi hanno riaperto gli stabilimenti balneari.

    Piace a 1 persona

    Pubblicato da ijkijk | 23 Maggio 2020, 9:44 PM
  2. Ecco, vedi, è d’accordo anche mister “Adesso basta”. Ci siamo fatti tutti quanti un bel viaggione New Age, ma la realtà ci ha riaperto gli occhi a badilate.
    Non so perché (sarà l’età) ma mi viene curiosamente in mente una strana immagine… carciofi, carciofi…
    Una immensa quantità di carciofi…

    "Mi piace"

    Pubblicato da niarb | 28 Maggio 2020, 5:47 PM

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