“Non dobbiamo aver paura di sognare
un po’ più in grande, tesoro.“
(da “Inception”, con Leonardo Di Caprio)
Quella che avete sotto agli occhi è la seconda (e ultima) parte di un articolo che parla di riforme.
Prima che corriate a prendere il secchio, però, vorrei puntualizzare: tranquilli, qui si fa sul serio.
Nell’articolo precedente, Le riforme e e lo strano caso degli universi paralleli, sbraitavo che le chiamano Riforma del Lavoro, Riforma della Scuola, Riforma della Sanità, e con nomi del genere uno si aspetta come minimo robe spettacolari, fuochi d’artificio: editti epocali, rivoluzioni civili, squarci di genio, supernovae di saggezza.
Poi, invece, quando ci metti il naso, ti accorgi che sono solo leggine.
Nient’altro che leggine.
Oscure.
Timide.
Contorte.
Discutibili.
Marginali.
Onanismi da burocrate, scoreggiotti da leguleio costipato, sparacchiate elettorali.
Soluzioni discutibili a problemi che non c’entran niente.
Detto questo, se non avete già letto Le riforme e e lo strano caso degli universi paralleli, magari adesso pensate di avere ottime ragioni per continuare a ignorarlo.
Beh, non fatelo.
Cliccate qui, e leggetelo. Le mie ragioni vi appariranno più solide e splendenti, il discorso filerà via più liscio, la vostra mente connetterà piacevolmente nuove sinapsi, la vostra carnagione assumerà toni assai più luminosi, e i vostri pargoli adorati otterranno voti inattesi a scuola.
Vi siete messi in pari? Magnifico.
Perché adesso, dopo essermi sfogato, sono molto più tranquillo. Basta critiche, basta brontolate.
Oggi cercheremo di essere costruttivi.
Per farlo, utilizzeremo tre tra le più potenti tecniche di sviluppo della creatività e la soluzione dei problemi note alla razza umana.
La prima si chiama Lo so che entra aria. Ma tu volevi un buco nel muro o cercavi soltanto di vendermi un trapano?
Si basa sul raffinato assunto che, prima di buttar lì una soluzione, convenga in prima istanza cercare di comprendere il problema. Altrimenti diventa tutto un po’ un prenderci.
Negli anni ’60 fu ribattezzata “Problem Solving“, ed è talmente semplice che spesso pare superfluo applicarla.
A differenza dei nostri governanti, invece, noi la applicheremo alla Riforma del Lavoro.
La seconda tecnica venne formalizzata nell’Età dell’Oro dai pastori dell’Arcadia, e si chiama Ma secondo voi ci siamo alzati a quest’ora infame per star qui nel fango a palpare le tette a qualche mucca, o per portare a casa del latte?.
(Oggi questo nome è stato quasi completamente abbandonato, anche perché in greco è molto più lungo. Su Google dovreste cercare “Soddisfazione del Cliente“.)
Si applica a tutti quei contesti in cui, per far contento qualcuno, prima di partire in quarta a fare cose a casaccio ci si ferma un secondo a riflettere di cosa quel qualcuno abbia effettivamente bisogno.
Noi la useremo per immaginare una Riforma della Scuola un po’ migliore.
La terza tecnica è di origine Zen, e pare sia stata inventata da un imperatore della dinastia Ming, che era costretto a usarla con quasi tutti i suoi ospiti.
Opportunamente tradotta dal giapponese medievale, suona come Se trovi sia faticoso raccogliere i cocci, magari era meglio se evitavi di far cadere il vaso.
Oggi nei circoli di pensiero più progrediti viene chiamata “Prevenire è meglio che curare”, e assai opportunamente la utilizzeremo per porre le basi di una Riforma della Sanità davvero rivoluzionaria.
Partiamo quindi con il Problem Solving applicato alla Riforma del Lavoro.
E’ molto semplice. Prendete un gruppo di persone che abbiano in effetti idea di cosa sia il mondo del lavoro – imprenditori, manager, operai, impiegati, professionisti, artigiani. (Noterete che ho omesso politici, soubrette e sindacalisti di professione.)
Metteteli in una stanza, con una lavagna e dei gessetti.
Fate a loro la Domanda Chiave: che cosa non va, secondo te, nel mondo del lavoro?
Uscite, e prendetevi un tè.
(Nota: funziona anche con un martini, ma dopo siete meno lucidi).
Ripetete gli stessi passaggi in molte altre stanze, al Nord e al Sud del paese, in distretti industriali e in zone agricole, in aziende manifatturiere e in società di servizi, in uffici e in capannoni, in imprese familiari e in multinazionali.
Poi prendete tutte le lavagne, fate la media delle risposte, e mi mangio un tubo di palle da tennis se non verrà fuori questa classifica:
1. Tasse troppo alte (sulle imprese)
2. Tasse troppo alte (sui dipendenti)
3. Tasse troppo alte (sui liberi professionisti)
4. Tasse troppo alte (su artigiani, agricoltori e cercatori di fate)
5. Burocrazia troppo pesante, lunga, inutile, costosa
6. Corruzione troppo diffusa
7. Giustizia troppo lenta
8. Evasione fiscale (e cioè: concorrenza sleale) troppo sistematica
9. Energia troppo cara
10. Infrastrutture troppo vecchie
11. Digitalizzazione troppo arretrata
12. Banche troppo vigliacche (e sistematicamente impunite)
Adesso ripescatevi l’articolo precedente (o il testo originale della riforma, se preferite), e cercate di collegare i provvedimenti del governo a queste dodici cause. Una per una.
Provateci pure.
Prendetevi tutto il tempo che serve.
E poi, con calma, ditemi cosa c’entrano.
Ditemi qual’è il nesso.
Ditemi per quale di quei punti là sopra è stata pensata la riforma dell’articolo 18, o gli 80 euro in confezione regalo, o l’innalzamento del tetto per il contante, o le tutele crescenti, o una qualsiasi di tutte le altre genialate.
E, soprattutto, ditemi come tutti questi provvedimenti stanno insieme uno con l’altro, e quanto di quei dodici punti coprano davvero.
Infine, ditemi se con Jobs Act non sarebbe stato meglio intendere non un modo per far ripartire l’economia, ma una legge per rendere ufficiale il culto del fondatore della Apple.
Volete davvero riformare il lavoro, onorevoli governanti? Ma è semplicissimo.
Prendete quei dodici punti là sopra, e invertiteli. Uno dopo l’altro.
Neanche a farlo apposta, i punti da 1 a 8 dipendono esclusivamente dalla vostra augusta volontà, da vostre decisioni, da vostre scelte, da vostre azioni dirette.
Non dipendono invece (guarda un po’) dal mercato globale, dal prezzo del petrolio, dal cambio euro/dollaro, dalla crisi economica, dai cambiamenti climatici, dalla Merkel, dai terroristi islamici, dal Parlamento Europeo, dai migranti, dalle macchie solari, da Grillo, da Marchionne, dal calendario Maya, dai faldoni su Ustica, né dalle malvagie entità aliene che gli americani tengono nascoste nel deserto del Nevada.
E’ tutta roba vostra.
Sono otto cose che voi e solo voi dovete fare, senza poter dar la colpa a nessuna altro se non vengon fatte.
E sono tutte cose che si possono/devono fare con la massima semplicità, come il fornaio fa il pane e il bluesman fa lo sviso.
Senza proclami, senza comizi, senza tweet, senza comparsate in TV.
Otto semplici cosine da rimettere in ordine nella vostra cameretta, onorevoli, prima di correre a far merenda, e prima che arrivino le sberle della mamma.
In seguito, se ne avrete ancora voglia, potrete rimettere il naso fuori dai vostri palazzi e occuparvi anche dei punti da 9 a 12.
E anche per quelli (che in ogni caso rientrano, dritti dritti, tra le vostre competenze) vedrete che non vi scoppierà la testa.
Soltanto quando quei dodici brutti puntacci saranno stati sistemati, dice il Problem Solving, allora e soltanto allora potrete rimettervi a vaneggiare di PIL in crescita, occupazione in ripresa, nuovo ciclo economico, e leadership del paese.
Prima di allora, soltanto testa bassa, e pedalare.
Bene, vi è piaciuto il Problem Solving? Allora impazzirete per la Soddisfazione del Cliente.
Parlando infatti di mamme e camerette, vien spontaneo passare al tema della Riforma della Scuola.
La scuola è il luogo in cui i ragazzi spendono la fetta più consistente di quelli che noi anziani amiamo definire “gli anni migliori”.
E quindi, inevitabilmente, la natura della scuola determina in modo diretto il modo in cui i ragazzi crescono e forgiano la loro personalità.
Si tratta quindi di decidere che tipo di ragazzi ci piacerebbe avere intorno. A occhio e sputazzo, direi che si può scegliere tra due modelli estremi.
Da un lato, zombie distratti e annoiati, ignoranti, egocentrici, cinici, edonisti, il cui riferimento culturale è la TV commerciale e i rotocalchi di gossip. Persone abituate a sopportare con menefreghismo un mondo di violenza, diseguaglianza, prepotenza e passività, che sprecano volentieri la loro stagione migliore su infinite stagioni di telefilm sanguinolenti tutti uguali e se aprono le pagine di un libro è per metterci a seccare i filtrini per il crack.
Oppure, all’opposto, possiamo immaginare torme di ragazzi appassionati. Vulcanici. Attivi. Instancabili. Incuriositi. Stimolati. Sfidanti. Sedotti. Entusiasti. Creativi. Scatenati. Sfrontati.
Gente che inventa, costruisce, discute, pensa, propone, sovverte, cresce.
Fantascienza? Neanche per idea. Questa è tutta roba che i giovani hanno dentro di fabbrica, prima che gliela spegniamo a colpi di DeFilippi, RealTime, Grande Fratello e Candy Crush Saga.
Certo, una scuola che sforna gente del genere non sbuca, da sola, sotto le foglie di lattuga dopo un temporale. Occorre infatti mettere insieme:
1. Contenuti migliori
Basta con la peste di Milano, i passeri solitari, le cavalline storne, e i foschi turbamenti di monache troieggianti del Seicento.
I ragazzi vanno stimolati sui temi con cui la realtà li bombarda ogni giorno, e per i quali avrebbero bisogno di riferimenti sensati: privacy e social media, cambiamenti climatici, guerre in corso, immigrazione, rispetto di genere e omofilia, religione e fondamentalismo, sostenibilità, droga, biodiversità, economia, OGM, bioetica, cibernetica, sovrappopolazione, ritorno alla terra, post-liberismo…
All’interno dei programmi scolastici dovrebbero essere resi sistematici seminari su come scegliere fondi di investimento e pannelli fotovoltaici, corsi di sopravvivenza e di pronto soccorso, lezioni di nutrizionismo e Tai-Chi, escursioni nei boschi, scultura col pongo, pianoforte, yoga, arrangiamento musicale, montaggio video, scrittura creativa, programmazione di app, recitazione e volontariato.
E tutti questi contenuti (e tutti quelli che potrei aggiungere, se solo ci pensassi altri trenta secondi) dovrebbero essere veicolati con…
2. Strumenti migliori e infrastrutture migliori
Innumerevoli generazioni si sono formate passandosi di mano in mano le stesse antologie, smadonnando sulle stesse grammatiche, disegnando cazzini sulle stesse fotocopie ingiallite.
Questo però è un altro secolo. E’ un altro millennio, maremma maiala.
Questi ragazzi sono nati con il tablet in mano. Quando hanno ancora ciuccio e pannolino, fanno già il gesto di pinch-out per ingrandire le foto e lo schiaffetto per passare all’immagine successiva.
Giocano con la Playstation e la XBox Kinect. Non si fanno problemi a far vedere pisello e patatina su internet. Fotografano il mondo girandogli le spalle e facendosi un selfie. Usano il GPS per vedere che terra batte la fidanzata. Creano blog, allacciano network, hackerano contenuti.
Possiamo forse chiedergli di portarsi in giro quattro chili di vocabolario ereditato dal nonno acculturato, di sottolineare con righelli di plastica e matite di legno, e di mettersi a memorizzare pagine impresse con un procediumento arcaico su fettine di piante abbattute almeno trent’anni prima che loro stessi venissero al mondo?
(Pagine, tra l’altro, che non hanno un indirizzo, che non si possono condividere, nè zoomare, su cui non si può mettere “mi piace”, e di cui non si possono modificare né i caratteri né il backdrop.)
E’ tutto un pasticcio. In un qualche momento, la Storia deve essere andata in corto.
Perché nei secoli passati la scuola è sempre stata, per definizione, il luogo per antonomasia dell’innovazione, delle novità, dell’avanguardia.
I primi graffiti sono nati sui muri di caverne in cui antichi scimmioni grugnanti cercavano di spiegare a classi di scimmionicini come intrappolare un bufalo e fargli la festa.
I geroglifici, le tavolette di cera, i papiri, il calamaio, la stampa e il ciclostile sono nati all’interno delle scuole, e da lì, un po’ alla volta, sono filtrati nella vita quotidiana.
I filosofi, i matematici, gli scienziati fondavano scuole, e ai loro discepoli insegnavano i semi di quella che oggi è diventata la nostra cultura e la nostra tecnologia.
Oggi invece viviamo in un mondo di videoclip e Google Maps, di webinar e di app, di crowdsourcing e di digital making, e pretendiamo di formare la prossima ondata di leader e innovatori utilizzando metodi e strumenti del Settecento.
L’apprendimento dovrebbe essere un’esperienza veloce, eccitante, curiosa ed appagante: come si dice, “cool & fun” (vorrei dire fun-cool, ma ammetto che suoni male).
E non è mica scalare l’Everest coi tacchi a spillo. Per fortuna, non partiamo da zero.
C’è già in giro un sacco di gente che lo fa già, e alla grande, da tanti anni: i vari Piero e Alberto Angela, e i Minoli, Lucarelli, Oddifreddi, Bozzetto, Cecchi Paone, Manfredi, Benigni, Paolini, Tozzi, Fo, Balasso, e innumerevoli altri registi, comici, cantanti e canali televisivi tematici.
Imparare divertendosi. Le risorse ci sono, le capacità pure. Chissà cosa stiamo aspettando.
Dobbiamo stare in occhio, però. Non abbiamo tutto questo tempo.
Se non ci sbrigheremo a imparare a comunicare con loro, con le prossime generazioni, con la stessa velocità con cui comunicano tra loro, resteremo tagliati fuori dalla comunicazione. Da perfetti idioti, resteremo tagliati fuori dal nostro futuro.
Naturalmente tutto questo non può avvenire semplicemente sostituendo gli iPad ai sussidiari e pubblicando sugli AppStore qualche documentario interattivo.
L’esperienza scolastica dovrà essere perfettamente orchestrata da formatori di prim’ordine: supertecnici e megaesperti, ma anche professionisti dell’intrattenimento, comunicatori spettacolari, trascinatori irresistibili, esperti di psicologia.
In altre parole,
3. Insegnanti migliori
Dite che vaneggio? Non sarebbe la prima volta.
Eppure stiamo parlando di gente chiamata ad un compito fondamentale: costruire – formare – motivare – plasmare gli artefici del nostro futuro.
E la qualità degli insegnanti, amigos, non è affare dei nostri figli. E’ affare nostro.
Perché, che ci piaccia o no, prima o poi anche la nostra spettacolare generazione passerà la mano.
Andremo tutti in pensione, noi fenomeni, e a far girare il mondo ci penseranno altri.
Ma anche da pensionati, si spera, avremo bisogno di un sacco di cose. Abiteremo in qualche genere di edificio, guideremo qualche tipo di automobile, prenderemo ascensori, attraverseremo ponti, saremo passeggeri di treni, navi ed aerei. E ogni tanto, a Zio piacendo, faremo un passaggio in qualche ospedale, per un esamino, una TAC, o magari una rabberciatina sotto ai ferri.
E allora dovremo sperare che gli architetti che hanno progettato quegli edifici, gli ingegneri che hanno costruito quei ponti, i piloti di quegli aerei, gli anestesisti e i chirurghi che ci apriranno la pancia siano tutti stati formati da professionisti eccezionali, non dagli scartini della nostra generazione.
Non possiamo permetterci che a buttarli nel mondo sia stata gente stanca, sconfitta, sottopagata, mal preparata o magari addirittura raccomandata.
Se siamo furbi, dobbiamo pretendere che a insegnare siano i migliori del mucchio.
I docenti che dobbiamo pretendere non saranno babysitter a cui scaricare i figli quando andiamo a lavorare, ma manager, rockstar, attori, imprenditori, registi di successo, allenatori di coppa UEFA. Vincenti, motivanti, trascinanti, efficaci.
Se è il male di pagarli meglio, li pagheremo meglio.
Anzi, facciamo così: strapaghiamoli.
Rendiamo l’insegnamento un traguardo da Mille e una Notte.
Facciamo in modo che insegnare diventi l’ambito coronamento di qualsiasi carriera di successo.
Non saranno soldi “spesi”, o buttati via. Saranno soldi investiti nella qualità del nostro presente, e del nostro futuro.
Meglio di così…
E finalmente, la terza e ultima riforma di oggi. La fantasmagorica Riforma della Sanità.
Fino ad oggi, le riforme in questo settore non hanno mai fatto cadere dalla sedia nessuno per la sorpresa: taglia questo, taglia quello, arrivederci e grazie.
Basta con il bicchierino gratuito per l’analisi della pipì, da ora in avanti ne verrà dato uno per condominio.
Passi la sostituzione delle batterie del pace-maker, ma solo se il cardiopatico dimostrerà di non essere un frequentatore di YouPorn.
Basta con le TAC a pioggia, da quest’anno prima di ogni lastra l’assistito dovrà fare una seduta preliminare con la chiromante e una lettura dei tarocchi.
Semplice, eh?
Noi invece proveremo l’approccio degli imperatori Ming: cercheremo di non rompere il vaso. Cercheremo, per quanto possibile, di evitare di ammalarci.
Certo, lo sappiamo già che le sigarette fanno male, e che a vivere di salsicce alla brace e lardo di Colonnata si va poco in là.
Ma perché non prendere l’educazione alla salute molto più sul serio?
Sarebbe fantastico se qualcuno opportunamente titolato ci insegnasse per filo e per segno gli stili di vita da rispettare per evitare di aver bisogno di medici e ospedali.
Corsi tenuti da professionisti capaci e motivati, non da maghiotelmi e wannemarchi sparati fuori dal teleschermo.
Corsi magari supportati da materiale informativo da portarsi a casa: pubblicazioni serie, semplici e accurate, in cui tutto viene spiegato in maniera semplice, divertente, pittorica, e scientificamente corretta. Fascicoli ministeriali da raccogliere e rilegare, opuscoli da mettere in valigia, libriccini con gli animaletti del bosco per i bambini. Spiegazioni, indicazioni, moniti e rassicurazioni.
Ma in Italia si legge poco. E allora si dovrebbero produrre cartoni animati, documentari e sitcom con messaggi più o meno subliminali, e programmare sistematicamente interventi nei programmi televisivi di maggiore audience di esperti preparati e affidabili. Con l’obiettivo di intrattenere, informando in maniera scientificamente ineccepibile, e al tempo stesso sfatando miti stupidi e deleterie leggende metropolitane.
Non trovate che sia spettacolarmente idiota lasciare il monopolio delle informazioni mediche alle vecchie comari, ai “si dice”, ai salotti TV, ai siti di fanatici cialtroni, e ai giornaletti della parrucchiera?
Poi, certo, ci si continuerebbe comunque ad ammalare.
E allora si potrebbero immaginare app per smartphone rilasciate dal Ministero, che leggano i nostri dati biometrici e diano finalmente un senso a tutta quell’elettronica che ci portiamo a spasso.
E magari l’istituzione di una figura di Tutor Sanitario, un professionista proattivo e motivato che seguirebbe un numero limitato di cittadini e che starebbe al medico della mutua come il personal trainer sta all’insegnante di ginnastica delle medie.
E poi sistemi di condivisione on-line infinitamente più efficaci di quelli attuali (mai sentito parlare di diagnosi contrastanti? HA!). Social network e database condivisi per medici e terapeuti, forum per i pazienti, una TripAdvisor su chirurghi e case di cura, per farla finita con tutta l’aleatorietà e la soggettività che, inspiegabilmente, ancora avviluppa la scienza medica nel pieno del terzo millennio.
E magari sessioni di Tai-chi nei parchi cittadini, di nutrizionismo e di yoga nelle scuole.
Anche se i più attenti avranno notato che, queste tre, le ho già proposte per la riforma della scuola.
Ma va bene così. Con questa riforma mi sto inventando anche un sacco di prodotti e servizi e professioni. Un assist niente male per la riforma del lavoro.
Ed è così che dovrebbe essere: ogni riforma studiata anche in ottica di stimolare e sostenere tutte le altre.
Perché migliorare il paese con riforme a compartimenti stagni ha meno senso di mandare in ferie un eunuco su una spiaggia di Ibiza.
Dobbiamo costruire un circolo virtuoso. Un’eterna ghirlanda brillante.
Ho in mente un paese coerente, io.
Insomma, a mio modesto avviso si dovrebbero immaginare robe così, per chiamarle “riforme”.
E come si possono immaginare per lavoro, scuola e sanità, se ne potrebbero facilmente sfornare tantissime altre: giustizia, ambiente, lavori pubblici, ricerca, pensioni, e tutto il resto.
(Poi, metti che a pensarle ci si metta gente con due-tre neuroni più di me: sai che roba vien fuori?)
Ma è importante non farsi fregare.
E’ fondamentale non arrendersi ai professionisti del marketing e alle loro facili etichette.
George Orwell ce lo ha spiegato a meraviglia in “1984”: se sprechi un termine potente come “riforma” per indicare una cagatina fine a se stessa, di portata limitata, priva di visione globale, finirai per convincerti che una riforma è proprio fatta così.
E allora sarà un bel guaio, perché nessuno si prenderà mai più la briga di costruirne una vera. Perché faticare, se gli elettori si accontentano di così poco?
E’ come interstardirsi a chiamare “leccornia” qualsiasi cosa, dalla Saint Honoré con i mirtilli della Foresta Nera allo sformato di merda.
In assenza di termini che esprimano un concetto diverso, prima o poi qualcuno troverà gustoso anche quello.
Sfortunatamente, se ci accontenteremo di quattro baggianate sfuse, non verremo mai davvero a capo dei nostri problemi.
Resteremo lì, con la faccia stupita, a chiederci: “Ma come è possibile? Siamo ancora nella guazza. Eppure le riforme le abbiamo fatte.”
Dobbiamo pretendere. Dobbiamo riflettere. Dobbiamo ragionare. Dobbiamo connettere, e immaginare.
E dobbiamo anche sognare, ma molto più in alto di quanto gli omini che legiferano gradiscano lasciarci fare.
Perché se continuiamo a coltivare sogni da topo, otterremo al massimo un pezzetto di formaggio.
Mentre il cielo a cui dobbiamo puntare è molto, molto più su.
Per le immagini, si ringraziano Théodore Géricault per la zattera, Steve Jobs & his Mac, Gustave Caillebotte e i suoi raboteurs, l’immaginario dottor Emmett Lathrop Brown (al secolo Christopher Lloyd), miss Reef 2013 e il suo sorriso scapolare, un po’ di immagini pescate a caso di universi paralleli, e il mio amico &World, le cui indiscutibili abilità cinematografiche risultano ingiustamente penalizzate dai pochi fotogrammi pubblicati del suo famoso lungometraggio sul cielo di Indaiatuba (San Paolo, Brasile).
Per favore, non rovinarmi una giornata già triste, fredda, ventosa, buia……….
Oh, ti brego, posta una VERA barzelletta
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Eh eh eh, prometto che la prossima pubblicazione sarà breve e demenziale. 😉
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Questa è lunga e purtroppo tristemente demenziale (alla base, intendo, non in quanto post…)
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Volevo postarla prima delle vacanze, in modo che uno se la possa leggere con comodo, ma non so se ci arriveremo.
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Alle vacanze? Insegni anche tu?
Mon dieu 😦
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Vacanze ESTIVE… Sai, con il notebook sulla spiaggia, il mouse insabbiato, gli schizzi salati sul monitor…
(No, non insegno. Il più delle volte parlo da solo) 😉
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Io insegno, ed è la stessa cosa…. 🙂
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Wow, insegni sulla spiaggia? Affascinante.
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Alla sabbia, si…
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Come hai ben detto tu il problema sta proprio nel fatto che ci accontentiamo o forse abbiamo una visione completamente contorta delle, basti pensare che la maggior parte della gente crede che amicidimariadefilippi sia veramente una scuola. Trent’anni di lavaggio del cervello hanno completamente cambiato i bisogni primari e le priorità, l’utilizzo della cosa pubblica (scuola, sanità, ecc.) come semplice posto di lavoro per parenti, amici e affini, in maggioranza idioti o incompententi, ci ha fatto perdere il treno del ricambio generazionale graduale, dei miglioramenti un passo alla volta, tagliando fuori completamente una generazione (forse anche due, è ancora da vedere) lasciando al comando, nei posti più importanti gente che è scollegata con la velocità della realtà. questo lo possiamo vedere ogni giorno, basta andare in qualsiasi ufficio pubblico o in qualsiasi struttura pubblica per toccare con mano. Per questo motivo credo che per realizzare anche un dodicesimo di quello che tu scrivi ci vorrano almeno una decina d’anni, per ritrovarci sempre indietro.
Bel post. Ciao.
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Sì, beh, in effetti i trent’anni di centrifuga telepsicotica sono forse l’unica cosa che ha funzionato bene in questo paese (insieme all’Italia di Bearzot, e alla Nutella).
Del resto il fatto che ci troviamo sulla schiena una casta di gente disonesta, corrotta e oltretutto incapace non è mica un castigo divino: li votiamo, li abbiamo votati, e continuiamo a votarli.
Però credo che i miei deliri siano meno spampanati di quello che sembra.
Nelle famiglie, nelle aziende, tra amici, nei club, nei circoli, nelle associazioni, nelle squadre, nei clan, nelle congreghe e nei gruppi trash metal si tende a ragionare come ho scritto nell’articolo: con il buonsenso, con la logica. Si fanno progetti, si studiano le alternative, si analizzano i fallimenti, si corregge la rotta, si discutono i risultati.
Solo nella vita pubblica tutto questo pare fantascienza.
Diversamente furbi, dear amilcaxas, siamo purtroppo un popolo di assai diversamente furbi. 😉
Grazie del tuo contributo!
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Io più che altro ci chiamerei sedicenti furbi. nel senso che ci sentiamo i migliori del mondo per il nostro modo di fare, mentre in realtà stiamo distruggendo anche quanto di buono abbiamo ricevuto in eredità, tipo i monumenti e il territorio. che poi come dici tu in quasi tutti gli ambienti si posso sentire discorsi come i tuoi, come per esempio per fare ripartire i consumi basta far arrivare più soldi nelle tasche degli operai, del ceto medio-basso insomma, che sono quelli che trainano la vera economia, cioè comprare il pane, il latte, ecc. tutti i giorni. Non depenalizzare il falso in bilancio, oppure accordarsi con gli evasori fiscali o quanto peggio far rientrare i soldi dall’estero in maniera anonima con solo il 5% di tasse una tantum. Le agevolazioni alle aziende, tipo quelle jobs act, non sono altro che un cane che si morde la coda, perchè sappiamo benissimo che le statistiche non sono mai del tutto reali. faccio un pò di contrattati a termine a giro, per alzare la percentuale di occupati, ma questo non crea nè una sicurezza, nè una prospettiva per quanti vengono assunti, crea solo un beneficio per quelle aziende a cui interessa avere dei lavori a costo zero in un contesto standardizzato. vabè stiamo esagerando, mi scuso. Che poi stasera c’è la champions e non voglio rovinare l’atmosfera. 😉
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Purtroppo non stai esagerando affatto. In questo Paese, e in quest’epoca, esagerare è praticamente impossibile. La realtà è comunque un passo avanti.
Io però (che ho notoriamente la zucca dura) insisto: i miei sproloqui, come pure quei discorsi che tu giustamente dici si possono sentire in quasi tutti gli ambienti, e anche gli azzeccatissimi esempi che fai tu: non sono assolutamente cose “già sentite”.
Sono cose che non si sentono ancora abbastanza.
Perché se fossero cose davvero già sentite (e per “sentite” intendo non con le orecchie, ma con il cuore, l’anima, il cervello) saremmo tutti per la strada a urlare e a strapparci i capelli e a sbattere gli sportelli dei cassonetti. Saremmo tutti inferociti, stravolti, aizzati, tarantolati.
Mentre invece siamo sereni, tranquilli, rassegnati, corazzati. Trasudiamo inerzia, indifferenza, benaltrismo, fatalismo.
Continuiamo a votare gli stessi ectoplasmi, intimamente convinti che tanto, prima o poi, un Settimo Cavalleggeri sbucherà tra squilli di tromba a risistemare tutto.
Senza che noi ci si debba nemmeno schiodare dal divano e spegnere la TV.
Solo che, purtroppo, questa NON E’ la Champions League. Ogni gol che si prende, non si riparte con la palla al centro.
Si riparte sempre un po’ più indietro. Sempre più lontani dal centrocampo.
E a furia di prenderne, siamo ormai addirittura dietro alla nostra stessa porta. E prima o poi, saremo in mezzo alla curva, e poi fuori dallo stadio.
Fino al giorno in cui, a furia di prenderne, non ci accorgeremo di essere così lontani dallo campo di gioco da non saper nemmeno più in quale direzione sarebbe opportuno mettersi a correre.
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Ma questo non è un post è un trattato.
Anzi è un trattore con aratro pronto ad affondare le lame, meglio, i vomeri,
nel vomitevole campo della copropolitica Belpaesana.
La politica funziona
e vive se la città diventa agronoma
senza nell’industria sconfinare
perciò è una buona pratica
dissodare arare sovesciare erpicare
letamare lietamente ovviamente
diverso da evacuare gli escrementi
lì dove rovi e sterpi serpi alloggiano
indi seminare erbe piante eduli
al posto degli impianti edili ma inedibili
poscia a sorte a lei piacendo
vendemmiare mietere raccogliere
festeggiare
anche nel fasto sconfinando
confidando che anche il Fato
si diverte ad essere indulgente
qualche volta.
Marco Sclarandis
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Godo un mucchio a dissodare
Por le zolle sottosopra
Scoprir cose, rimirare
Prima che il trantran le copra.
Amo anche innaffiare
Irrorar infa vitale
Perché questo fa affiorare
Ciò che è bello e giusto e vale.
Per finire, sguazzo ad arare
E farcir solchi con semi
Perché invece a ben pensare
Pieni i fossi son di scemi. 😉
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Penso possa farti piacere sapere che il famoso politologo Edward Luttwak in una intervista al Giornale (oggi) ha detto sostanzialmente che le riforme di Renzi sono un fallimento perché sono troppo all’acqua di rose e in effetti non hanno cambiato niente!
Ha detto che le cose importanti che andavano fatte per rilanciare l’economia non sono state fatte!
Sei contento? 🙂
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Ecco, vedi, la devo smettere di telefonare dopo cena a famosi politologi e dare via le mie opinioni così, come fossero frittelle. Poi quelli le vanno a spiattellare in TV, ci scrivono i libri, diventano famosi, e io rimango al buio nella mia stanzetta a rosicchiare croste di cocomero.
Bisogna che impari a farmi furbo.
Grazie per la dritta, DonnaSchermo77! 🙂
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